Gente sul ponte

Strano pianeta e strana la gente che lo abita.
Sottostanno al tempo, ma non vogliono accettarlo.
Hanno modi per esprimere la loro protesta.
Fanno quadretti, ad esempio questo:

A un primo sguardo nulla di particolare.
Si vede uno specchio d’acqua.
Si vede una delle sue sponde,
Si vede una barchetta che s’affatica.
Si vede un ponte sull’acqua e gente sul ponte.
La gente affretta visibilmente il passo
perché da una nuvola scura la pioggia
ha appena iniziato a scrosciare.

Il fatto è che poi non accade nulla.
La nuvola non muta colore né forma.
La pioggia né aumenta né smette.
La barchetta naviga immobile,
la gente sul ponte corre
proprio là dov’era un attimo prima.

È difficile esimersi qui da un commento:
il quadretto non è affatto innocente.
Qui il tempo è stato fermato.
Non si è più tenuto conto delle sue leggi.
Lo si è privato di influenza sul corso degli eventi.
Lo si è ignorato e offeso.

A causa di un ribelle,
un tal Hiroshige Utagawa
(un essere che del resto
da molto tempo, com’è giusto, è scomparso),
il tempo è inciampato e caduto.

Forse non è che una burla innocua,
uno scherzo della portata di solo qualche galassia,
tuttavia a ogni buon conto
aggiungiamo quanto segue:

Qui è bon ton
apprezzare molto questo quadretto,
ammirarlo e commuoversene da generazioni.
Per alcuni anche ciò non basta.

Sentono perfino il fruscio della pioggia,
sentono il freddo delle gocce sul collo e sul dorso,
guardano il ponte e la gente
come se là vedessero se stessi,
in quella stessa corsa che non finisce mai,
per una strada senza fine, sempre da percorrere,
e credono nella loro arroganza
che sia davvero così.

Wislawa Szymborska, in: Gente sul ponte, Libri Scheiwiller, a cura di Pietro Marchesani, Milano 1996, pp. 97-99.

Il quadretto in questione è la silografia di Hiroshige Ōhashi. Acquazone ad Atake, contenuto nella serie Cento vedute di luoghi celebri di Edo del 1857. Altrettanto celebre è la copia che ne fece Vincent Van Gogh tra il 1886 e il 1888 nella sua tela a olio Ponte sotto la pioggia. Mettendo i due quadri a confronto, la parentela risulta fin troppo evidente. Così come le differenze non sono riconducibili solo alle differenti tecniche esecutive, ma evidentemente anche a una sensibilità estremamente differente. Nella quadro del pittore olandese è ravvisabile quella feroce inquietudine che ne costituisce la cifra stilistica principale. La corrente del fiume è resa attraverso la sua tipica pennellata, mentre l’incisore giapponese preferisce lasciare all’osservatore il compito di intuirne la presenza. La composizione del quadro è semplice e geniale: il ponte, elemento ricorrente nelle incisioni dei più grandi maestri giapponesi Hokusai e Hiroshige, costituisce un piano che si interseca con quello delle sottili linee dell’acqua piovana. Un gruppetto di passanti si affretta a traversare il ponte riparandosi dalla pioggia. Concetti come il rapporto tra l’uomo e la natura e l’inesorabile trascorrere del tempo vengono resi in maniera plastica: allude alla condizione umana tanto l’elemento del ponte quanto la corrente che scorre sotto i piedi dei passanti. A ciò si riferisce, con la sua consueta ironia, la poetessa polacca, la quale immagina che l’artista giapponese sia riuscito a fermare il fluire del tempo/fiume. Il quadro tuttavia non contiene nulla di metafisico, è un’istantanea perfetta, essenziale nella sua eleganza, elegante nella sua essenzialità. Nessuna misteriosa allusione, nulla che non sia evidente o comprensibile anche a un bambino (“a un primo sguardo nulla di particolare” – notava giustamente la poetessa). Eppure la meraviglia, lo stupore e l’empatia che suscita il capolavoro di Hiroshige sono immediati, non richiedono spiegazioni. Ciò probabilmente è quanto spinse il pittore olandese e la poetessa polacca a confrontarsi con la xilografia dell’artista giapponese. Tuttavia tra i versi l’autrice dissimula, cela un riferimento: “qui il tempo si è fermato” – scrive, come se si volesse riferire ai principi del “socialismo scientifico” e dell’utopia comunista.

Se dovessi scegliere un punto di partenza per riflettere sul senso che ha (o non ha) lo scrivere versi, partirei proprio da qui. Un innocente disegno potrebbe indicarci il percorso per una poesia transitabile, nella quale le linee essenziali ed eleganti restituiscono al lettore un senso immediatamente percepibile, che produce stupore e meraviglia proprio per la semplicità dei propri mezzi espressivi. Un ponte tra il giorno e la notte, tra la sensibilità dell’autore e quella del lettore, tra la psiche e il linguaggio. Un ponte per superare la dicotomia tra la seriale volgarità dell’arte popolare e lo snobismo dell’arte per pochi eletti.