Il ciottolo

Il ciottolo è una creatura

perfetta

 

Uguale a se stesso

attento ai propri confini

 

esattamente ripieno

di senso pietroso

 

con un odore che non ricorda nulla

non spaventa nulla non suscita desideri

 

il suo ardore e la sua freddezza

sono giusti e pieni di dignità

 

provo un grande rimorso

quando lo tengo nel palmo

e un falso calore

ne pervade il nobile corpo

 

– I ciottoli non si lasciano addomesticare

fino alla fine ci guarderanno

con un occhio calmo e molto chiaro

 

Da: Zbigniew Herbert, Rapporto dalla città assediata, Adelphi, Milano 1993, p. 91, a cura di Pietro Marchesani


Scrive

Josif Brodskij in Lettera al lettore italiano, saggio introduttivo alla raccolta di poesie Rapporto dalla città assediata: “Il contenuto estetico delle sue poesie fornisce al lettore non un rifugio, ma un’arma”. Se prendiamo la poesia che abbiamo appena citato e la osserviamo come fa lo scienziato con il vetrino poco prima di inserirlo nel microscopio, quanto sostenuto da Brodskij potrebbe sembrare un’assurdità. Cosa c’entra un ciottolo con la dimensione etica della poesia di Herbert (“un poeta di eccezionale importanza etica” – lo definisce Brodskij)? La poesia in questione venne pubblicata nella raccolta del 1961 Studium przedmiotu (“Studio dell’oggetto”). La scelta di scendere la scala dell’anticlimax fino all’oggetto più anonimo e privo di valore, come appunto può essere un ciottolo, è coerente con quanto il poeta aveva già dichiarato nella sua precedente prosa poetica dal titolo Gli oggetti: “Gli oggetti inanimati sono sempre a posto e non si può, purtroppo, rimproverargli nulla. Non ho mai visto una sedia appoggiarsi ora su uno ora su un’altro piede, né un letto impennarsi. Anche i tavoli, quando sono stanchi, non osano inginocchiarsi. Sospetto che gli oggetti si comportino così a scopo pedagogico, per rinfacciarci di continuo la nostra incostanza”. L’innocenza di questo breve componimento prosastico è solo apparente. Per comprenderlo bisogna però fare riferimento a quella epoca a cui appartengono, in cui i dettami ideologici del realismo socialista erano ancora vigenti, anche se successivamente al cosiddetto “disgelo” (1956 ) si erano aperti nella società varchi di libera espressione artistica. Riferirsi nella poesia alla concretezza degli oggetti significava deridere quella che era la retorica della cultura ufficiale di allora (occorre ricordare che all’epoca la censura era vigente e attiva). Se anche oggi siamo in grado di apprezzare una poesia come questa, dall’apparente innocenza, probabilmente lo dobbiamo, paradossalmente, proprio alla censura, che costringeva gli artisti e i poeti a inventare un linguaggio per esprimere e veicolare, posizioni di dissenso, un linguaggio personale ma allo stesso tempo comprensibile.