Poema barocco

I cavalli dell’aurora abbattendo pianoforti

Avanzano furiosamente per le porte della notte.

Dormono nella penombra antichi santi con i piedi feriti,

Dormono orologi e cristalli d’altri tempi, scheletri di attrici.

 

Il poeta calza nuvole adorne di teste greche

E si inginocchia davanti all’immagine di Nostra Signora delle Vittorie

Mentre i primi rumori dei carretti dei lattivendoli

Attraversano il cielo di gigli e di bronzo.

 

Ho bisogno di conoscere il mio sistema arterioso

e sapere fino a che punto mi sento limitato

Dai sogni al galoppo, dalle ultime notizie di massacri,

Dal cammino delle costellazioni, dalla coreografia degli uccelli,

Dal labirinto della speranza, dalla respirazione delle piante,

E dai vagiti della creatura appena nata alla Maternità.

 

Ho bisogno di conoscere gli scantinati della mia miseria,

Appiccare il fuoco alle piante che crescono sopra il mio corpo,

Minacciando di tappare i miei occhi, le mie orecchie,

E imbavagliare l’indifesa e nuda castità.

 

È allora che volto la bella immagine rosso-azzurra:

presentandomi l’altro lato coperto di pugnali,

Nostra Signora delle Sconfitte, coronata di violacciocche,

Indica il proprio cuore e chiede aiuto anche a lei.

Da: Murilo Mendes, Mondo enigma, Einaudi, Torino 1976, p. 75


Questo componimento è contenuto in Mondo enigma, una delle più belle raccolte di Murilo Mendes, scritta nel 1942, anno in cui il poeta dovette affrontare una lunga degenza in un sanatorio. Nello stesso tempo è uno degli anni più terribili in tutta la storia dell’umanità, in cui la barbarie nazifascista dilaga in tutta Europa e nulla sembra in grado di opporgli resistenza. In questa, come in altre poesie della silloge,  si può scorgere una lontano eco della guerra in corso, ma vista dall’altra parte dell’Atlantico. La tragedia collettiva fa da sfondo a una tragedia privata: la ricerca e la rappresentazione dell’immagine dell’io lirico. Lo specchio è rotto e i pezzi possono solo essere ricomposti all’interno di una logica a-logica di chiara ascendenza surrealista, nella quale le decorazioni barocche, le violaciocche e i cieli di gigli, non sono altro che tentativi vani di trovare nell’estetismo una via di salvezza dal dilagare del caos. Nell’arco della lirica si passa da Nostra Signora delle Vittorie a Nostra Signora delle Sconfitte. Tra questi due punti vi è un profluvio di figurazioni impregnate da un senso oscuro e tragico nel quale si avverte l’approssimarsi della catastrofe, già annunciata nei primi due versi, dai cavalli che avanzano furiosamente abbattendo pianoforti (una immagine che ricorda da vicino i Cavalieri dell’Apocalisse e la celebre incisione di Durer). In questo caotico passaggio dalla Vittoria alla Sconfitta, che attraversa il corpo del poeta dalla testa ai piedi, la morte (le notizie degli ultimi massacri) si mescola alla vita (i vagiti della creatura appena nata alla Maternità). Giustamente Murilo è stato definito poeta apocalittico. Scrive a proposito Ruggero Jacobbi: “Va inteso che «apocalittico» significa al tempo stesso storico e metafisico; e che storica e metafisica, a un tempo, è la poesia di Murilo in quanto confessione di un uomo del secolo XX con gli occhi sempre aperti sulle tragedie della polis, e in quanto desolazione o speranza del cristiano senza dogmi” (nella Introduzione alla citata edizione di Mondo Enigma, p. VIII). Questa religiosità, frutto di un riavvicinamento al cristianesimo avvenuto in età più matura,  è una elemento fondamentale in tutta la raccolta. Tuttavia il Dio del poeta brasiliano non impone la sua presenza, ma semmai, caratteristica è proprio la sua assenza o la sua inafferrabile essenza. La castità, un concetto presente nel citato Poema barocco così come nell’intera silloge, è intesa come il polo opposto del caos della vita e per questo irraggiungibile per l’uomo in questa vita (“finché venga la morte/ suprema castità” sono gli ultimi della sua poesia Parente prossimo mentre in Tobia e l’angelo il poeta scrive “Dalla castità delle campane/ Ora la notte è sorta). Ciò che manca in questa meravigliosa silloge è proprio un punto di arrivo, un approdo di questo dolente almanaccare, ma a volte conta solo il viaggio e non l’approdo.