L’ombra
Ogni ombra anche la tua è ombra dell’eternità
gemelli siamesi che separa solo la morte
tende agguati a ogni movimento involontario
il tuo nero levrierieVedersi sempre in una positura da cui non ti potrai più rivoltare
un’avara misura di terra ti è commisurata
le tue ali nere quando perdi le bianche con l’infanzia
Icaro la tua caduta quotidianaUna pozzanghera di lutto da te sgocciola
vi si specchiano gli occhi senza speranza e conforto
ma non finisce mai questo corteo
sei bara l’ombra tua morello funebreDa: František Halas, Imagena, a cura di Angelo Maria Ripellino, Einaudi, Torino, p. 61
Questa poesia del poeta ceco František Halas fu pubblicata nella raccolta Sepie (“seppia”) del 1927, esordio poetico del ventiseienne poeta, il quale da poco si era trasferito a Praga dalla sua natale Brno. Quella di Halas fu una delle figure di primo piano della scena letteraria boema tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, segnata tuttavia da singolari contraddizioni. Fin dai tempi della sua adolescenza a Brno fu un fervente comunista, collaboratore di pubblicazioni legate al Partito dal 1921, nel 1924 entrò a far parte del guppo di poeti e artisti Devětsil, fondato a Praga nel 1920 e attorno a cui si erano raccolti critici e poeti di primo piano (in seno a questo gruppo nacque nel 1924 il poetismo, un movimento artistico e poetico di fondamentale importanza nel ‘900 ceco e non solo, che propugnò e attuò un impetuoso rinnovamento nella scena letteraria sotto il segno delle avanguardie letterarie europee). Ciò malgrado, una singolare propensione verso tematiche lugubri condita da un radicale pessimismo emerge fin dalla prima raccolta di poesie di Halas. Nelle sue poesie successive tale cifra stilistica emerse in maniera ancora più chiara: le meditazioni sulla fugacità della vita e sull’ossessiva presenza della morte (che sarebbe l‘Ombra della poesia citata) si servono di immagini e metafore nelle quali è facilmente ravvisabile una diretta influenza della tradizione barocca, filtrata però da una sensibilità novecentesca. Le sue liriche in questa fase sono una sequela di tombe (“Ai piedi della tomba sarò edera/canto sereno che ti avvolgerà” scriverà in Il cimitero), di immagini funeree (“Nella ventata di tenebre fra nascita e morte/ghiacciando sotto la calce sepolcrale della luna” si legge in De profundis) e metafore di putrefazione, tanto da far storcere il naso ai critici marxisti, i quali non mancarono di sottolineare la contraddizione tra tali barocchismi, più consoni a un poeta cattolico, e la salda adesione alla causa del comunismo. A tali accuse il poeta rispose: “Ho alcuni amici che sono cattolici, e andiamo magnificamente d’accordo. Ciò non toglie nulla al mio comunismo. Esso resta ugualmente fervido e saldo. Ci unisce una sola cosa, il comune linguaggio della bellezza” (tratto dalla Introduzione di A. M. Ripellino alla citata edizione, p. 24). Oggi i termini ideologici di questa polemica appaiono incomprensibili. Molto più interessante, invece, appare proprio la commistione tra modernismo e barocco, tra l’altro molto difficile da rendere in una traduzione italiana. Sappiamo bene che le rime e il ritmo sono elementi importanti tanto quanto lo sono le immagini, mentre nella traduzione di Ripellino, che è l’unica che abbiamo a disposizione, non viene dedicata alcuna attenzione all’aspetto fonetico dell’originale. Tale scelta inevitabilmente sacrifica un aspetto della poesia di Halas non secondario. Ciò malgrado viene facile ricollegare le liriche di questo poeta agli splendori barocchi della Boemia e di Praga in particolare, città nella quale l’impronta di quel periodo storico e artistico appare così evidente. Fu proprio la scelta dell’imperatore Rodolfo II di spostare la sede imperiale da Vienna a Praga nel 1583 che la rese uno dei centri nevralgici del barocco. Anche per questo motivo consiglierei vivamente a un turista che ha in animo di visitare la capitale della Repubblica Ceca di leggere le poesie di Halas, calandosi nelle sue lugubri atmosfere, prima di intraprendere il viaggio.
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