Sogno
Lo sapevo, mi stavi sognando,
non riuscivo per questo a dormire.
Un opaco fanale azzurreggiava
e mi indicava la via.
Tu vedevi il parco della regina,
col suo bianco, frondoso palazzo
e l’arabesco nero dei cancelli
agli ingressi sonanti di pietra.
Avanzavi ignorando la strada,
e pensavi: «Piú presto, piú presto,
o se solo arrivassi a trovarla,
a non destarmi prima di incontrarla».
Ed il guardiano delle belle porte
ti gridò dietro: «Dove vai?»
Scricchiolava, cedeva il ghiaccio,
sotto i piedi l’acqua nereggiava.
«Questo è il lago – tu pensavi −
sul lago c’è un isolotto…»
Ma nella tenebra d’un tratto
echeggiò un bluastro fuoco.
Svegliandoti al chiarore crudo
di un povero giorno, gemesti,
e per la prima volta
mi chiamasti forte per nome.
da: La corsa del tempo, a cura di Michele Colucci, Einaudi, Torino 1992
Scritta nel 1915 dalla ventiseienne poetessa, che già allora era un personaggio molto noto (aveva debuttato nel 1912 con la raccolta La sera, che fu un insperato successo, mentre la seconda raccolta, Rosario del 1914, fu la conferma di una fama ormai diffusa in tutta la Russia). La Prima Guerra mondiale è appena scoppiata e di lì a poco il mondo in cui la poetessa era nata e cresciuta sarebbe stato spazzato via da guerre, rivoluzioni e altre tragedie di proporzioni enormi. In pochi anni Anna Achmatova tuttavia era riuscita ad affermarsi come una delle figure più rilevanti nel panorama della poesia russa. Vi furono prima di lei altre poetesse in Russia, ma nessuna aveva mai raggiunto la sua fama. I salotti pietroburghesi se la contendevano (era nota anche per una grande abilità declamatoria oltre che per la sua avvenenza) e da quando era stata ammessa nelle riunioni del mercoledì presso “la torre”, il prestigioso salotto di Vjačeslav Ivanov, cominciavano a circolare voci su una sua presunta relazione con Aleksander Blok, il più grande e noto poeta russo di quell’epoca a cui la giovane poetessa aveva dedicato alcuni versi. L’Achmatova, che aveva cominciato a scrivere versi in tenera età, nel 1903 aveva conosciuto il giovane poeta Nikolaj Gumilëv, che cominciò a farle una corte serrata e che tentò il suicidio dopo diverse proposte di matrimonio rifiutate. Per sfinimento Anna lo sposò nel 1910 (il matrimonio, che cessò ufficialmente nel 1918, non fu felice). Tra i poeti che nel 1912 furono i protagonisti del movimento dell’acmeismo (oltre alla poetessa e al marito, ne fece parte anche Osip Mandel’štam), l’Achmatova si impose subito grazie a uno stile personale e assolutamente inedito nella poesia russa, che presto divenne anche molto popolare. Le sue poesie, semplici e brevi, venivano imparate a memoria e divennero un elemento importante nell’educazione sentimentale delle ragazze di quell’epoca e per molti anni a seguire. L’acmeismo infatti si prefiggeva di riscoprire il senso letterale delle parole, dopo anni di temperie simbolista, in cui invece le parole venivano correlate al piano simbolico e circondate da una aurea misticheggiante. Il soggetto prediletto dell’Achmatova erano le incomprensioni tra gli amanti e gli amori sfortunati, ma descritti attraverso dettagli concreti e tangibili. La struttura metrica svolge un ruolo fondamentale nelle sue liriche, e ciò ha creato non pochi problemi ai traduttori (molti sono stati quelli che hanno provato a volgere le sue liriche in italiano). Senza una solida struttura metrico-ritmica infatti le sue poesie potrebbero sembrare poca cosa. Anche in Sogno appare evidente il debito dell’Achmatova nei confronti di Puškin. Il sogno è ambientato a Carskoe Selo, località nei pressi di San Pietroburgo noto per i monumentali palazzi imperiali di Caterina e Alessandro e per un liceo dove aveva studiato sia Anna Achmatova che lo stesso Puškin, il quale nelle sue liriche lo aveva celebrato di frequente. Si tratta quindi di un luogo notissimo ai cultori di poesia russa. Sogno rievoca un luogo dell’anima, ormai entrato nell’immaginario collettivo. Il linguaggio, le allusioni a personaggi indefiniti, inizialmente la fanno sembrare una poesia simbolista, ma l’ultima strofa chiarisce l’equivoco: è vero, si è trattato di un sogno, ma anche di un fatto concreto che sarebbe avvenuto nella camera da letto della poetessa. Una poesia così intima, così lontana dalla retorica del realismo socialista, non poteva non cozzare con i dettami del Regime sovietico in campo letterario, tuttavia la fama che la poetessa si era guadagnata probabilmente la salvò dall’arresto (a cui non scamparono il marito, fucilato nel 1921, e Osip Mandel’štam, che finì suoi giorni in un campo di lavoro nel 1938). Tuttavia per tenerla sotto scacco arrestarono l’unico figlio, Lev, il quale trascorse 14 anni nei gulag. Ciò malgrado, anche se ridotta al silenzio, non volle mai lasciare la sua amata San Pietroburgo (solo nei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale fu sfollata in Uzbekistan). Per questo la sua poesia e la città col tempo si sono saldati formando un binomio inscindibile.
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