L’occhio del poeta oscenamente vede
la rotonda superficie del mondo
coi suoi tetti ubriachi
oiseaux di legno sui bucati
e maschi e femmine di argilla
con gambe di fuoco e petti in boccio
su letti a muro
e alberi pieni di mistero
e parchi della domenica e statue mute
e la sua America
con le città fantasma e le deserte isole Ellis
e il suo paesaggio surrealista di
praterie senza pensiero
sobborghi da supermercato
cimiteri scaldati a vapore
giorni sacri da cinerama
e cattedrali della protesta
Un mondo sterilizzato di sedili plasticati da toelette tampax e tassì
cowboy smidollati e vergini di Las Vegas
indiani diseredati e fanatiche del cinema
senatori non-romani e non-obbiettori di coscienza
e tutti i fatali sparsi frammenti
del sogno avverato dell’emigrante
smarrito
tra bagnanti che prendono il sole.
The poets eye obscenely seeing
sees the surface of the round world
with its drunk rooftops
and wooden oiseaux on clothesliens
and its clay males and females
with hot legs and rosebud breasts
in roll away beds
and its trees full of mysteries
and its Sunday parks and speechless statues
and its America
with its ghost towns and empty Ellis Islands
and it’s surrealist landscape of
mindless prairies
supermarket suburbs
steamheated cemeteries
cinerama holy days
and protesting cathedrals
a kissproof world of plastic toiletseats tampax and taxis
drugged store cowboys and las vegas virgins
disowned indians and cinemad matrons
unroman senators and conscientious non-objectors
and all other fatal shorn-up fragments
of the immigrant’s dream come too true
and mislaid
among the sunbathers
Il termine “americano” nell’uso corrente da tempo indica qualcosa che esula dall’America in quanto continente geografico. Anche la sua categoria grammaticale oscilla tra l’aggettivo e il sostantivo e comprende ormai un’estetica, un modo di essere, di vivere, di pensare, di esprimersi. Ferlinghetti è uno dei poeti che forse hanno saputo descrivere meglio nelle sue poesie quanto nel nostro immaginario di europei è legato alle accezioni di questo termine (ciò che i latino-americani definirebbero invece “gringo”). La poesia in questione lo esemplifica forse meglio di altre. È compresa nella raccolta A Coney Island of the Mind (unanimemente ritenuta la sua migliore opera) pubblicata nel 1958 a New York. L’autore si era trasferito nel 1953 a San Francisco, dove aveva aperto la libreria City Lights e, due anni più tardi, l’omonima casa editrice specializzata in poesia. Tra i primi titoli pubblicati vi fu il poema di Allen Ginsberg Howl (“il grido”) che divenne il manifesto della beat generation e che causò anche l’arresto dell’editore, accusato di oscenità (cosa che lo rese immediatamente molto celebre). La poesia di Ferlinghetti è caratterizzata dal verso segmentato e, più in generale, dall’assenza di strutture metriche. Fu influenzato da E. Cummings, dal suo uso creativo della punteggiatura e dalla sua completa libertà espressiva. Ferlinghetti era altresì noto per le sue ottime capacità di performer. Tuttavia non deve essere considerato un poeta “spontaneista” o privo di una solida formazione culturale (prima di trasferirsi a San Francisco aveva terminato un dottorato alla Sorbona). Nel corso dei suoi studi a Parigi (il francese fu la sua lingua madre poiché i primi cinque anni della sua vita aveva vissuto a Stasburgo con la zia) aveva avuto modo di conoscere i poeti surrealisti, i manifesti e le produzioni artistiche delle avanguardie. Ma per arrivare al paesaggio “americano” a cui fanno riferimento anche le fotografie che ho voluto inserire per esemplificare meglio il concetto, occorre citare il grande fotografo svizzero Robert Frank, autore di un fondamentale libro di fotografia pubblicato nel 1958 , Les Américains, nel quale aveva selezionato alcune foto scattate nei due anni di viaggio per gli Stati Uniti (tra le quali vi erano anche alcuni ritratti dei poeti della beat generation). Se oggi il nostro occhio riconosce quello che si è cristallizzato come l’immagine del paesaggio “americano” lo si deve al fotografo americano William Eggleston, il quale verso la metà degli anni ’60 cominciò a usare la pellicola a colori per realizzare foto che avrebbero in seguito creato, appunto, l’immaginario “americano”, ovvero ciò che un europeo vede quando, chiudendo gli occhi, pensa agli Stati Uniti (i grandi spazi, le grandi macchine, le luci al neon, i motel, le insegne che si stagliano sullo sfondo del cielo azzurro, e così via). A lui seguì Joel Sternfeld, più giovane di cinque anni, il quale attraverso la sua macchina fotografica a colori documentò la vita quotidiana negli Stati Uniti. Tutti questi celebri fotografi devono qualcosa a Lawrence Ferlinghetti.
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