Arte poetica
Tu occhi di carta tu labbra di creta
tu dalla prima saliva malfatto
anima di strazio e ridicolo
di allori finti e gestitu di allarmi e rossori
tu di debole cervello
ladro di parole cieche
uomo da dimenticaredichiara che il canto vero
è oltre il tuo sonno fondo
e i vertici bianchi del mondo
per altre pupille avvenire.Scrivi che i veri uomini amici
parlano oltre i tuoi giorni che presto
saranno disfatti. E già li attendi. E questo
solo ancora è il tuo onore.E voi parole mio odio e ribrezzo,
se non vi so liberare
tra le mie mani ancora
non vi spezzate.
Da: Poesia e errore, Feltrinelli, Milano 1959
Nel 1947, dopo gli anni travagliati del periodo bellico (per via delle sue origini ebraiche la famiglia subì le conseguenze delle Leggi razziali, nel 1941 venne chiamato alle armi, ma non fece in tempo a prendere parte al conflitto bellico, dopo l’Armistizio si rifugiò in Svizzera ma tornò in Italia dove fu partigiano) il trentenne Franco Fortini si impiegò alla Olivetti. L’anno precedente aveva esordito con la raccolta Foglio di via. Nel 1944 si era iscritto al Partito Socialista, e da allora aveva cominciato a collaborare con L’Avanti! e, dal 1945, al Politecnico di Elio Vittorini. Grazie all’interessamento personale del suo amico Adriano Olivetti, verrà trasferito a Milano, al settore pubblicità, dove lavorava anche Giovanni Giudici. La sua attività di traduttore dal tedesco e dal francese in questi anni si fece via via sempre più intensa. Tra gli autori che tradusse e che lasciarono una importante traccia nella sua creazione letteraria vi fu Bertold Brecht, che conobbe personalmente nel 1956 a Milano in occasione della prima de L’opera da tre soldi (Traducendo Brecht è anche il titolo di una delle sue più intense liriche). Su invito di Pier Paolo Pasolini, nel nel 1955 cominciò a collaborare con Officina, una rivista che fu un crocevia importante nella vicenda culturale italiana del dopoguerra. In questi anni si intensificò il suo impegno politico. Sempre nel 1955 fu tra i fondatori di Ragionamenti, rivista di critica e di informazione sui maggiori temi del pensiero marxista contemporaneo. Nel 1956 partecipò in prima persona al dibattito politico e culturare che seguì al XX Congresso del PCUS (nel quale vennero denunciati ufficialmente per la prima volta i crimini di Stalin) e all’invasione dell’Ungheria. Ma nel 1957 la rivista Ragionamenti chiuse insieme a Officina, con cui i rapporti si erano già guastati, e l’anno successivo restituì la tessera del PSI per alcune incomprensioni (cessò quell’anno anche la sua collaborazione con l’Avanti!). Cominciò quindi una fase di riflessione e di solitudine nella quale si dedicò in modo più intenso alla propria creazione poetica. A questo periodo risale la raccolta Poesia e errore, che uscì nel 1959, nella quale confluirono i versi della sua prima raccolta, insieme a molto altro materiale apparso in quegli anni per lo più in volume e su rivista.
In Arte poetica l’autore mette in scena tutto il suo scaltro e amaro disinganno (Fortini fu un intellettuale che aveva avuto modo di conoscere e tradurre alcuni tra i maggiori scrittori del ‘900 europeo) in un teatrino personale nel quale l’io lirico è paragonato a un ridicolo attore drammatico (“anima di strazio e ridicolo/ di allori finti e gesti”) che si esibisce in un teatro vuoto. La mancanza di interlocutori, legata evidentemente anche alla disillusione politica, rende l’io lirico postumo a se stesso (“scrivi che i veri uomini amici/ parlano oltre i tuoi giorni che presto/ saranno disfatti. E già li attendi/” scrive Fortini, lasciando al lettore la decisione se quel “disfatti” si riferisca ai “veri uomini amici” oppure ai “tuoi giorni”) ma proprio questa condizione di scacco, già ben oltre la disfatta, è allo stesso tempo quello che il poeta definisce “il suo onore”. La poesia si chiude con un sofferto appello-invettiva alle parole, definite “odio e ribrezzo”, che il poeta però vuole in qualche modo salvare. E forse è proprio questa l’eredità che il poeta ci lascia e della quale tutti i poeti dovrebbero fare tesoro.
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