Erostrati

Ma noi siamo Erostrati figli d’Erostrato
Siamo malversatori

                            del fuoco universale
Appicchiamo le materie prime dei depositi
E i magazzini d’ortofrutta
Ed ecco: procediamo con fiammiferi
In una notte d’autunno e di pioggia
Noi, distruttori di cose,
Cerchiamo un’estasi tremenda
E là, là della vita al margine
Si trova lei, la zona-magazzino-ortaggi
Di là di Čërnaja rečka, accanto al cielo
Quasi che fosse un’Afrodite naticuta
La donna-magazzino-ortaggi ebbra
L’abbiamo vagheggiata a letto
Ed eccola in persona
E il boschetto del duello puškiniano
Accanto a lei risplende
E nera più dei greci Stigi
Qui scorre Čërnaja rečka
Ma colui che cantava, egli era felice,
Non è morto costui, e non morrà,
Non è per lui, bensì per noi che scorre
L’acqua tremenda degli oblii
In una notte d’autunno e di pioggia
Noi lasceremo la misera vita
Diretti chissà dove
Fuggi l’orrore degli oblii
Fuggi così come Evgenij un tempo
Dal bronzo galoppante sulla terra sudicia
Laggiù, dove tra melma e nebbia,
Giace orinante la zona-magazzino
Per la città serbando ortaggi vuoti
E, come estasi amorosa,
Attende Erostrato e il suo fuoco
Ma noi che siamo impeto e minaccia
Furtivi andiamo e silenziosi come topi
E come rosa infuocata
Sfolgorerai e sarai arsa
Noi siamo, infatti, Erostrati figli d’Erostrato
Noi dissipiamo il primofuoco greco
Appicchiamo le materie prime dei depositi
E i magazzini ortofrutticoli

Tratto da: Sergej Stratanovskij, buio diurno, a cura di Alessandro Niero, Einaudi, Torino 2009, pp. 13-15

 

Nel 1966 morì Anna Achmatova. Non aveva fatto in tempo a vedere pubblicati i suoi Poema senza eroe e Requiem, atti di accusa e testimonianze degli anni più bui dello stalinismo a cui la poetessa aveva a lungo lavorato.  Tra le migliaia di giovani che accorsero a renderle omaggio vi fu Sergej Stratanovskij,figlio di un illustre traduttore dal greco e dal latino, allora studente ventiduenne, il quale avrebbe cominciato a scrivere poesie nel 1968 (a seguito dell’invasione della Cecoslovacchia, stando a quanto dichiarò lo stesso autore), che circolarono per oltre quindici anni solo nei canali del samizdat (qualche lirica apparve su antologie ma all’estero). Fino al 1968 studiò letteratura russa e francese alla facoltà di lettere di Leningrado, proprio negli anni in cui le autorità avevano dimostrato chiaramente di non tollerare più alcuna forma di arte e cultura non ufficiale (l’arresto e il processo a Brodskij risaliva al 1964, il processo ai letterati Julij Daniel e Andrej Sinjavskij terminò nel 1965 con dure condanne ai lavori forzati). Terminati gli studi, si impiegò presso la Biblioteca Nazionale della sua città, ma nei suoi versi è chiaramente avvertibile una rabbia generazionale. Nel 1972 era stato costretto all’esilio Josip Brodskij (lo stesso destino toccò a Sergej Dovlatov nel 1978).

Stratanovskij fu un personaggio celebre tra i poeti “underground” di Leningrado e fu tra i fondatori, nel 1979, della rivista «Dialog» e, successivamente, di «Obvodnyj Kanal» che rappresentarono uno dei pochi spazi di libero dibattito in Unione Sovietica (della prima rivista uscirono solo tre numeri, mentre la seconda vivrà fino al 1993, anche se Stratanovskij cesserà di farne parte nel 1987 perché in disaccordo con la linea nazional-religiosa che stava prendendo il sopravvento) nei quali si raccolse quella nuova generazione di poeti e scrittori russi che non sentiva alcun legame con la retorica del realismo socialista e con le liturgie del mondo ufficiale delle accademie.

In Erostrati, che sotto alcuni aspetti può essere considerata quasi un manifesto generazionale, i riferimenti al mito di Pietroburgo e alla classicità, che potrebbero ricordare la poetica di Mandel’štam, sono messi al servizio dell’elemento dionisiaco. Stratanovskij,in questa lirica del 1970-71, usa la prima persona plurale poiché evidentemente vuole dare voce a una generazione ormai confinata nel mondo dell’underground. I riferimenti alla classicità (Erostrato fu un pastore che per passare alla posterità appiccò il fuoco al Tempio di Artemide nel 356 a.C.) e all’epoca d’oro della poesia russa (Čërnaja rečka è il fiume che dà il nome alla località nel quale ebbe luogo il fatale duello nel quale perse la vita Puškin, Evgenij è il protagonista del celeberrimo poema Puškiniano Il cavaliere di bronzo il quale, in preda al delirio e alla disperazione per avere perso l’amata nel corso di un’alluvione, immagina che la statua di Pietro il Grande prenda vita per inseguirlo e schiacciarlo sotto i suoi zoccoli) appartengono a quella grande tradizione pietroburghese, a cui anche Stratanovskij si sente fortemente legato. Tali riferimenti vengono utilizzati dal poeta per dare maggiore rilievo alle scene di degrado quotidiano della Leningrado sovietica (in questa poesia come in altre di Stratanovskij si incontrano termini del “gergo sovietico” – peraltro ormai in disuso, accanto a riferimenti all’epoca d’oro della poesia russa) ma nel solco della grande tradizione poetica legata alla città fondata da Pietro il Grande.