Invocazione all’Orsa Maggiore

Scendi, Orsa Maggiore, notte arruffata
fiera dal manto di nubi, dagli antichi occhi,
stelle occhi,
nella macchia affondano, scintillanti,
le tue zampe con gli artigli,
stelle artigli,
vigili noi pascoliamo gli armenti,
pur da te ammaliati, e diffidiamo
dei tuoi fianchi sfiniti, degli aguzzi
denti dischiusi,
vecchia orsa.

Un cono di pigna: il vostro mondo.
Voi: le sue squame.
Dagli abeti dell’inizio
agli abeti della fine
la rivolto, la sbalzo,
l’annuso, ne saggio il sapore
e l’abbranco.

Temete e non temete!
Gettate l’obolo nella borsa,
all’uomo cieco una buona parola,
perché tenga l’orsa al guinzaglio.
E condite gli agnelli di spezie.

Potrebbe quest’orsa
liberarsi, non più minacciando,
incalzando ogni pigna, dagli abeti
caduta, maestosi abeti alati,
precipitati dal paradiso.

Da: Invocazione all’Orsa Maggiore, trad. di Luigi Reitani. SE, Milano 1994

La prima pubblicazione di questa poesia risale al gennaio del 1955 sulla rivista «Merkur. Deutsche Zeitshrift für europäisches Denken». Darà il titolo alla seconda e ultima raccolta di poesie dell’autrice, pubblicata l’anno successivo. Nel 1953 aveva esordito con Il tempo dilazionato, che gli valse il premio del Gruppo 47. Aveva allora ventisette anni. Nel 1950 si era laureata in filosofia a Vienna, dove aveva trovato lavoro in una radio (le sue poesia avevano già cominciato ad essere note e pubblicate su riviste). Al 1952 risale il suo primo viaggio in Italia con la sorella Isolde e, a cominciare dall’anno seguente, i soggiorni in Italia si faranno sempre più lunghi e frequenti. Sempre nel 1952 conosce il compositore Hans Werner Henze.  Risalgono al 1954 i primi reportage radiofonici trasmessi per la radio di Brema sulla vita politica e sul costume italiani tra il 15 luglio e il 9 giugno del 1955 (nello stesso periodo il «Westdeutsche Allgemeine Zeitung» pubblica sue corrispondenze da Roma). Con Henze, che si era stabilito anche lui in Italia, collaborò al radiodramma Le cicale, del 1955 (successivamente la poetessa scrisse il libretto per la pantomima danzante L’idiota e il libretto per l’opera Il principe di Homburg). A quell’anno risale uno dei più bei testi scritti dalla poetessa su Roma: Quel che ho visto e udito a Roma.

Invocazione all’Orsa Maggiore rappresenta quindi il centro della sua seconda e ultima raccolta e segna la vetta e il punto finale di tutta la sua creazione poetica. Forse anche a causa della sua scomparsa improvvisa e precoce (avvenuta  nel 1973, a Roma, dove risiedeva stabilmente dal 1965, a causa di un misterioso incidente domestico) la sua produzione poetica non ha potuto svilupparsi verso una maturità. Per altro dopo la pubblicazione di Invocazione si dedicò prevalentemente alla prosa (raggiungendo eccellenti risultati).

Si tratta quindi di una lirica che assume un significato particolare e che da dato vita alle più svariate, discusse e discutibili, interpretazioni. Alcuni critici e studiosi della letteratura, come Mittner e Brenner, ritengono che l’Orsa personifichi la Chiesa di Roma (la Bachmann era nata a Klagenfurt, nella cattolica Carinzia, ma i suoi genitori appartenevano alla minoranza protestante). Rasch vi scorge una biblica prefigurazione della rovina del mondo. Chi, come Gerhard Hoffmann si ricollega alla metaforica stellare in Germania a partire dal Seicento (Gryphius). Qualcun altro la vede come «una figurazione della violenza, arcana e brutale, dei “tempi nuovi”» (T. Mandalari in: Ingeborg Bachmann, Poesie, Guanda, Parma 1978, pp. 162). Luigi Reitani ne ha fatto una lunga e approfondita disamina nelle pagine conclusive del saggio Il canto della polvere (postfazione del volume: Ingeborg Bachman, Invocazione all’Orsa Maggiore, SE, Milano 1994), nel quale. a p. 194, leggiamo: «Ingeborg Bachmann si fa portatrice di una moderna poetica del sublime, che riconosce la grandezza dell’uomo nella sfida che egli rivolge alle potenze che lo sovrastano. Se Dio non abita nel mondo e se la storia è visitata dal male, se l’uomo è estraniato da se stesso, spetta al canto poetico testimoniare messianicamente la libertà».

L’enigma di questa lirica è racchiuso in quello dell’esistenza dell’autrice: in un così breve lasso di tempo la sua poesia è stata in grado di raggiunto altezze così vertiginose e di lasciare un segno importante nella storia della letteratura tedesca del secolo appena trascorso. Aveva appena trent’anni allora e ne avrebbe vissuti solo altri diciassette. La sua poesia non fece in tempo a invecchiare, l’ardore e l’impeto giovanile non è stato spento dall’incedere degli anni e l’ingenuità degli esordi non ha lasciato il posto alla “maniera”. E noi proprio per questo la  amiamo e la vogliamo celebrare.