La centrale elettrica degli dei
Un carico di divinità salvate dalla profondità,
dove erano scomparse, tonnellate
di malta e detriti sui loro corpi, sotto palazzi perduti.
Riportati alla luce, bianchi come mai, come
gabbiani stanno in riga davanti alle nere
ciotole: Achille invalido, la testa di marmo
ai piedi, resti delle battaglie dei greci e delle amazzoni,
Nike senz’ali, ma scolpita in pietra,
volanti oggetti epici nelle alte tempeste,
nei cambiamenti atmosferici umani e divini.
Riportati alla vita ora, si dice, dalla scintilla elettrica,
che dallo sporco e dal rumore di una volta, da qui alla città,
arriva alle case, alimenta ascensori, congegni
dedicati a questo luogo, tempio della corrente.
Una volta spente le strade, si seguitava a cercare,
si indagava l’anima, ancora con gli dei si aspetta
che accanto a giganti turbine gli uomini tornino
all’interno, nel cerchio commutatore del mito.
Ma loro dove sono – volati via con tanti piccoli
accumulatori, vogliono una loro foto, mille volte
la stessa foto, non riescono a salire sul ponte
dal centro delle macchine, dove la modernità
è immobile partenza da un tempo andato,
una maestosa nave fantasma, una Minerva
senza testa, una polena che guarda più in là di noi.
da: Manovra d’autunno, Lit edizioni (elliot), Roma 2016, traduzione di Paola Del Zoppo
Questa elegia è dedicata dalla poetessa Susanne Stephan, nata ad Aquisgrana nel 1963, alla Centrale Montemartini, un museo allestito a Roma tra le turbine di quella che fu la prima centrale elettrica pubblica della capitale. Inaugurata nel 1912, venne dotata di due giganteschi motori diesel da 7500 hp e fu attiva fino al 1963. Restò in stato di abbandono fino al 1989, quando cominciarono i lavori per la realizzazione di un museo, inaugurato nel 1997, che avrebbe ospitato le acquisizioni più recenti dei Musei Capitolini in uno spazio caratterizzato dalla presenza dei giganteschi macchinari della centrale elettrica, in un accostamento di archeologia industriale e archeologia classica (tra i reperti archeologici spiccano le grandi statue in marmo delle divinità del pantheon romano).
Questo accostamento originale di elementi ed epoche così distanti tra loro deve aver colpito anche la poetessa. La lirica è tratta dalla sua ultima raccolta, Haydns Papagei, del 2015 (trad. it.: “Il pappagallo di Haydn”), ricca di echi italiani (l’Italia da sempre è un paese molto amato dai poeti e dagli artisti tedeschi, a cui l’autrice dedica l’intera sezione Suite italiana), dove la poetessa ha potuto usufruire di alcune borse di soggiorno.
Quella di Susanne Stephan è una poesia colta: i rimandi alle biografie di musicisti e poeti tedeschi sono continui (a partire dalla lirica Haydn rievocato che dà il titolo della raccolta), testimonianza di studi e di passioni che costituiscono una parte importante della sua biografia intellettuale. Tuttavia tali riferimenti sono sapientemente ancorati al mondo contemporaneo e al quotidiano dell’autrice (giustamente la traduttrice Paola del Zoppo nell’introduzione definisce la sua poesia “una esplicita autobiografia dell’intelletto”).
Ne La centrale elettrica degli dei la visita alla centrale-museo offre all’autrice quasi un pretesto per una ironica decostruzione e ricostruzione del mondo del mito, quel “cerchio commutatore” dal quale l’uomo contemporaneo sembra essersi allontanato. La concretezza della circostanza e i precisi riferimenti a un determinato luogo ( “La poesia di Susanne Stephan si rivela nel gioco equilibrato di chiarezza ed ermeticità e nell’andamento regolarissimo della tecnica narrativa” – nota giustamente Paola del Zoppo) rappresentano il punto di partenza per una caustica riflessione sui futili riti del mondo contemporaneo (“mille volte la stessa foto”) contrapposti al tempo del mito, che soverchia l’individualità nella sua dimensione di presente senza tempo (la “polena che guarda più in là” dell’ultimo verso).
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