La notte

Della notte so poco
ma di me la notte sembra sapere,
e più ancora, mi assiste come se mi amasse,
mi ammanta di stelle la coscienza.

Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è nulla
e nulla le nostre congetture
e nulla gli esseri che la vivono.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nel vuoto enorme dei secoli
che ci graffiano l’anima coi ricordi.

Ma la notte conosce la miseria
che succhia il sangue e le idee.
Scaglia l’odio, la notte, sui nostri sguardi
che da pieni di interessi, di incontri mancati.

Ma accade che la notte, ne senta il pianto nelle ossa.
Delira la sua lacrima immensa
e grida che qualcosa è partito per sempre.

Un giorno torneremo a esistere.

La noche

Poco sé de la noche
pero la noche parece saber de mí,
y más aún, me asiste como si me quisiera,
me cubre la conciencia con sus estrellas.

Tal vez la noche sea la vida y el sol la muerte.
Tal vez la noche es nada
y la conjeturas sobre ella nada
y los seres que la viven nada.
Tal vez las palabras sean lo único que existe
en el enorme vacío de los siglos
que nos arañan el alma con sus recuerdos.

Pero la noche ha de conocer la miseria
que bebe de nuestra sangre y de nuestras ideas.
Ella ha de arrojar odio a nuestras miradas
sabiéndolas llena de intereses, de desencuentros.

Pero sucede que oigo a la noche llorar en mis huesos.
Su lágrima inmensa delira
y grita que algo se fue para siempre.

Alguna vez volveremos a ser.

Tratta dalla raccolta Las aventuras perdidas (1965), Traduzione di Claudio Cinti, in: La figlia dell’insonnia, Crocetti, Milano 2004, p. 18-19

Alejandra Pizarnik fu una poetessa argentina segnata da una vita tragica. La sua vita, interamente spesa per le parole e per la poesia, si concluse con una overdose di barbiturici nel 1972. Dopo la notizia della tragica scomparsa, molti si sono affrettati a ricollegarla, in maniera forse semplicistica e banale, alla sua poesia e a una tragica visione del mondo che vi traspare in filigrana. Poesia è la lirica che può essere considerata non solo una dichiarazione di poetica, ma anche una vera e propria professione di fede («Tu scegli il luogo della ferita, / dove dicemmo il nostro silenzio. / Tu fai della mia vita / questa cerimonia troppo pura.»).

Secondogenita di una famiglia di ebrei di origini russo-ucraine, era nata ad Avellaneda (sobborgo di Buenos Aires) nel 1936. Ebbe un’infanzia non facile. La sua famiglia di origine subì il tragico destino di tutti gli ebrei ucraini durante la Seconda guerra mondiale. Cagionevole di salute, timida e insicura, durante i suoi studi scoprì i poeti “maledetti”. Da allora la poesia fu, insieme ai filosofi “esistenzialisti”, al centro dei suoi interessi. Nel 1954 si iscrisse prima alla facoltà di Lettere e, successivamente, a quella di Filosofia all’università di Buenos Aires e, in quegli anni, frequentava anche gli studi dei pittori surrealisti. Abbandonò gli studi ma non la sua passione per i poeti decadenti e i filosofi, che continuava a leggere con vorace passione. Le letture si trasformarono presto in quei temi che costituirono la matrice del suo “personaggio poetico”: l’attrazione per la morte, la condizione di orfana, l’estraneità, la voce interiore, l’onirico e la poesia.

Al 1955 risale il suo debutto, con La tierra más ajena, che però rinnegò subito. L’anno successivo pubblicò La última inocencia, raccolta nella quale si manifestò quel suo stile epigrammatico e tragico, profondamente radicato nel suo vissuto, che costituisce la cifra stilistica della sua creazione poetica. Le frequenti crisi depressive e la psicanalisi furono due esperienze che marcarono tutta la sua vita e la sua poesia. Tra il 1960 e il 1964 visse a Parigi, dove conobbe Octavio Paz, il quale scrisse una memorabile introduzione a Árbol de Diana, la raccolta di poesia del 1962 che rappresenta il punto più alto della sua creazione artistica. A Parigi conobbe anche Julio Cortázar, che fu suo amico ed estimatore (i due si scambiarono lettere affettuose per tutta la vita).

Tornata in Argentina, con la morte del padre, nel 1967, la sua visione della vita si fece più oscura e tragica, come testimoniano anche i suoi diari di questi anni. Al 1970 risale il suo primo tentativo di suicidio. La morte fu in questi ultimi anni di vita un tema al quale la poetessa tornò con ossessiva insistenza anche nelle sue poesie. Tuttavia Ripercorrere la sua creazione poetica  a ritroso alla luce del tragico gesto con il quale l’autrice mise fine alla sua vita è fin troppo facile e non rende giustizia alla sua poesia. Che fu senza dubbio profondamente legata al suo vissuto, ma che non dovrebbe essere ridotta alla messa in scena di un “personaggio poetico”.

«Le immagini da sole non emozionano, devono essere riferite alla nostra ferita: la vita, la morte, l’amore, il desiderio, l’angoscia. Nominare la nostra ferita senza trascinarla in quel processo alchemico in virtù del quale otterrà le ali è volgare » – dichiarò l’autrice in merito alla sua poesia. La riflessione, l’indagine sul linguaggio e sulla parola furono la ragion d’essere della sua vita e della sua poesia, legate tra loro in un inestricabile e tragico connubio.