Critica della poesia
Ecco la pioggia identica e gli adirati roseti
Il sale, il mar disfatto…
Si cancella tutto e poi si scrive:
Questo convesso mare e le sue migratorie
e radicate tradizioni
è già servito per mille altre poesie.
(La cagna infetta, la rognosa poesia,
ridicola varietà della neurosi,
prezzo che qualche uomo paga
per non sapere vivere,
La dolce, eterna, luminosa poesia)Forse non sono i tempi adesso:
la nostra epoca
ci ha ridotti a parlar da soli.Crítica de la poesía
He aquí la lluvia idéntica y su airada maleza
La sal, il mar deshecho…
Se borra lo anterior, se escribe luego:
Este convexo mar, sus migratorias
y arraigadas costumbres
ya sirvió alguna vez para hacer mil poemas.
(la perra infecta, la sarnosa poesía,
risible variedad de la neurosis
que algunos hombres pagan
por no saber vivir,
La dulce, eterna, luminosa poesía).Quizá non es tiempo ahora:
nuestra época
nos dejó hablando solos.
Da: Giovani poeti dell’america centrale, Messico e Antille, Einaudi, Torino 1977, pp. 176-177
Poco si sa della biografia di José Emilio Pacheco, poeta, prosatore, saggista e giornalista messicano scomparso nel 2014, essendo stato una persona sempre molto riservata (alle domande relative alla sua vita privata rispondeva sempre malvolentieri). Nacque nel 1939 a Città del Messico, suo padre era avvocato, ma di modeste origini, che aveva combattuto nella Rivoluzione messicana del 1910. La madre invece proveniva da una famiglia conservatrice cattolica di uomini d’affari. Una grande influenza sul piccolo José Emilio lo ebbe la nonna da parte di madre, che gli aveva trasmesso la passione per la lettura e per la scrittura (in una intervista dichiarò che le prime prove di scrittura risalgono all’età di otto anni). Si iscrisse all’Università autonoma del Messico nel 1957, dove studiò giurisprudenza e letteratura spagnola. Nello stesso anno entrò nella redazione del supplemento letterario «Estaciones» e da allora cominciò a pubblicare su diversi quotidiani e riviste recensioni letterarie e saggi (affiancò una intensa attività giornalistica alla sua creazione letteraria per tutta la vita). Nel 1958 uscì una raccolta di suoi racconti brevi dal titolo La sangre de Medusa, mentre la sua prima silloge di poesie Los elementos de la noche. Poemas uscì nel 1963, e rivelò una voce poetica introspettiva, analitica. I principali temi di questa raccolta erano il tempo, l’essere, la natura e la poesia stessa che verteva sulla scoperta degli elementi più elementari della vita umana. Il mare, la spiaggia, il sole e il vento, i classici quattro elementi, aiutano il poeta a esplorare i misteri del tempo in testi che non sfuggono alle domande fondamentali della condizione umana, il dramma dell’uomo, visto però con un suo sguardo ironico e distaccato. Sempre nel 1963 uscì il suo secondo libro di racconti brevi, Viento distante, che uscì in una seconda edizione riveduta e ampliata nel 1969 ed è stata tradotta e pubblicata anche in Italia nel 2014.
Nel 1964 morì suo padre e nello stesso anno José Emilio lasciò l’Università e si sposò con Cristina, anche lei scrittrice e giornalista. Nel 1966 uscì El reposo del fuego, un lungo poema diviso in tre parti che secondo la critica rispecchia le turbolenze degli anni ‘60 in Messico. Lo spazio urbano di Città del Messico è il protagonista di questa raccolta, nella quale l’autore ripercorre le tappe della sua storia dalla fondazione azteca nell’isola del lago Texcoco passando per il periodo coloniale fino ai tumultuosi anni ‘60. La città è ritratta come in luogo in equilibrio tra opposte tensioni, dalle sue fragili fondamenta geologiche fino alle divisioni culturali, antropologiche e religiose che minacciano da sempre di esplodere in modo violento. Nel 1966 collaborò con Octavio Paz alla redazione dell’antologia Poesía en movimiento: Mexico 1915-1966. La repressione violenta della manifestazione studentesca a Tlatelolco nell’ottobre del 1968 marcò una svolta anche nella sua creazione letteraria, testimoniata dalla raccolta No me preguntes cómo pasa el tiempo (poemas 1964-1968) nella quale l’impegno politico trova un crescente spazio anche nella sua creazione letteraria (la raccolta si chiude con una commemorazione del massacro degli studenti). Allo stesso tempo vi è una sezione di questo libro, intitolata Cancionero apócrifo nel quale sono protagonisti gli animali che, seguendo il filone della tradizione esopica, rappresentano allegoricamente comportamenti umani. Accanto all’impegno politico-ideologico, nelle poesie di Pacheco non manca mai un certo humor raffinato, ma non innocuo, certo graffiante sarcasmo che sarà parte importante della sua poetica. I suoi due successivi libri di poesia Irás y no volverás del 1973, e Islas a la deriva, pubblicato nel 1976, furono in parte una continuazione dei temi e dello stile della raccolta del 1968. Riferimenti alla contemporaneità, insieme alla metapoesia, intertestualità, componimenti incentrati sul tema del tempo, testi in costante dialogo con con la tradizione letteraria.
José Emilio Pacheco, oltre che saggista e giornalista, fu anche traduttore di poeti con i quali sentiva una qualche affinità. Sosteneva che il traduttore era il creatore di un’opera differente da quella originale. Spesso nelle varie edizioni presentava delle nuove versioni delle poesie che aveva precedentemente pubblicato e a volte inseriva citazioni più o meno evidenti di poesie di altri autori. La sua creazione letteraria consisté in una costante ri-scrittura di quanto aveva scritto lui stesso o altri prima di lui, secondo i principi estetici e i canoni del post-moderno. La lingua di Pacheco è sempre stata fedele a un principio di chiarezza e trasparenza. Come giustamente nota Stefano Bernardinelli, suo traduttore, «La lingua di Pacheco è certamente il prodotto di un particolare momento della cultura letteraria ispanoamericana. Secondo la nota formula di Samuel Gordon, “i poeti non cantano più, ora parlano”. ma le esigenze di chiarezza e di comunicabilità nascono anche dall’incontro della poesia con gli altri “mestieri” dell’autore: il narratore, il saggista, il giornalista. E a questa esigenza niente viene sacrificato in termini di eleganza e forza delle immagini» (da: Nota sull’opera di José Emilio Pacheco e sulla traduzione, in: Gli occhi dei pesci. Poesie 1958-2000, Medusa, 2006 Milano, p. 147). La smitizzazione della figura romantica del poeta così come appare nella citata Critica della poesia è parte fondamentale della sua poetica. Scrive a proposito il critico Mario Benedetti: «C’è parimenti in Pacheco una ricorrente incertezza sulla sua funzione come poeta e anche sulla condizione basilare, insostituibile della poesia. Tutto espresso con una sincerità tale, da non suscitare nel lettore neppure il minimo sospetto che si possa trattare di un’abile maschera autocritica. Il poeta si mette in discussione, tra le altre cose perché lo fa con tutto: il mondo, la vita, il potere, la morte» (da: La poesia aperta di José Emilio Pacheco, in: Gli occhi dei pesci. Poesie 1958-2000, Medusa, 2006 Milano, p. 149-150).
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