Un oscuro prato mi invita
Un oscuro prato mi invita,
le sue tovaglie stabili e aderenti,
girano in me, nel mio balcone si addormentano.
Dominano la sua estensione, la sua indefinita
cupola di alabastro si ricrea.
Sopra le acque dello specchio,
breve la voce in mezzo a cento strade,
la mia memoria prepara la sua sorpresa:
daino nel cielo, rugiada, fiammata.
Senza sentire che mi chiamano
penetro nel prato lento,
allegro in nuovo labirinto fuso.
Lì si vedono, illustri resti,
cento teste, trombe, mille funzioni
aprono il suo cielo, il suo girasole tacendo.
Strana la sorpresa in questo cielo,
dove senza volerlo tornano passi
e suonano le voci nel centro colmato.
Un oscuro prato sta passando.
Fra i due, vento o carta sottile,
il vento, ferito vento di questa morte
magica, una e accomiata.
Un uccello e altro già non tremano.
Una oscura pradera me convida,
sus manteles estables y ceñidos,
giran en mí, en mi balcón se aduermen.
Dominan su extensión, su indefinida
cúpula de alabastro se recrea.
Sobre las aguas del espejo,
breve la voz en mitad de cien caminos,
mi memoria prepara su sorpresa:
gamo en el cielo, rocío, llamarada.
Sin sentir que me llaman
penetro en la pradera despacioso,
ufano en nuevo laberinto derretido.
Allí se ven, ilustres restos,
cien cabezas, cornetas, mil funciones
abren su cielo, su girasol callando.
Extraña la sorpresa en este cielo,
donde sin querer vuelven pisadas
y suenan las voces en su centro henchido.
Una oscura pradera va pasando.
Entre los dos, viento o fino papel,
el viento, herido viento de esta muerte
mágica, una y despedida.
Un pájaro y otro ya no tiemblan.
Da: Poeti ispanoamericani contemporanei, Feltrinelli, Milano 1970, p. 215
Lezama Lima era nato il 19 dicembre del 1910 nel Trocadero, una modesta strada della cosiddetta “Vecchia Havana”. Eccezion fatta per due brevi viaggi, uno in Messico nel 1949 e un altro in Jamaica nel 1950, non lasciò mai Cuba. L’attaccamento alla città dove era nato, aveva vissuto e morì divenne un elemento importante della sua scrittura, non solo in qualità di tema dei suoi saggi, come ad esempio il suo Tratados en La Habana del 1958, ma anche come simbolo nei suoi romanzi , come ad esempio in Paradiso, e nella sua creazione poetica. Il legame di Lezama Lima con la sua città è diventato un nesso tra il profondo amore che provava per la madre e le sue idee relative alla poesia. Nella sua poetica, infatti, la città e la madre diventano i simboli delle iterazioni tra il poeta e la sua musa. In altre parole, il rapporto tra l’uomo e la sua città e tra il figlio e la madre vennero usati da Lezama Lima come un modello di iterazione tra il poeta e la poesia (poesia come espressione dello spirito). La presenza di queste entità femminili, sotto forma di città, di madre, i della poesia danno vita alle immagini di un utero-paradiso che da la vita al poeta/figlio. Inoltre, essendo uno scrittore cattolico, la poesia per Lezama Lima è un avatar dello Spirito Santo.
Il forte impatto del sistema letterario di Lezama Lima sulle lettere cubane, influenzando in modo decisivo una generazione di poeti cubani per i quali veniva considerato un maestro, cosa che può essere solo in parte spiegata con il ruolo seminale che ha avuto durante il periodo della cosiddetta “epoca repubblicana”. Lezama Lima è stato un infaticabile promotore culturale nel momento in cui Cuba soffriva gli effetti di una generale apatia e di un malessere generato dalla corruzione della politica e dall’instabilità economica.
Il suo debutto poetico avvenne nel 1937 con la raccolta Muerte de Narciso e i critici sono concordi nell’individuare in questa raccolta gli elementi di quel sistema poetico che l’autore sviluppò nel corso di tutta la sua vita. Uno di questi elementi è rappresentata dall’immagine della morte e resurrezione di Narciso. Come scrive il critico Guillermo Sucre “l’immagine, in Lezama Lima, non è un “doppio” né un sostituto della realtà. L’immagine è la realtà del mondo invisibile”.
Nel 1941 Lezama Lima pubblicò quello che per molti è il migliore dei suoi libri di poesia: Enemigo rumor, i lettori di questa raccolta furono pochi, ma tra loro vi erano i poeti che fecero parte della generazione di Orígenes (Cintio Vitier scrisse a proposito: «Mi sento incapace di spiegarle cosa questo libro significò in quegli anni. Leggerlo fu qualcosa di più di leggere un libro. La sua originalità era talmente grande e gli elementi che integrava (Garcilaso, Quevedo, Lautréamont, il surrealismo, Valéry, Rilke) erano così violentemente eterogenei, che se non fosse degenerato in un caos, avrebbe dovuto generare un mondo»)
Il linguaggio poetico rimanda all’origine, non come regressione nel passato, bensì come accesso al tempo sacro, senza storia e senza computo. Così il regno della poesia s’introduce nel regno “assoluto della libertà”, nel distacco da ogni condizionamento logico, estetico, intellettuale, e l’immagine – “termine dell’eros metaforico” che a volte risulta equivalente a “cosmovisione” – è una scintilla dell’intelligenza divina. Percepire questa scintilla significa accedere alla conoscenza del divino e alla comunione con il tutto universale. La poesia è la perfetta mediatrice tra l’umano e il divino e il suo “rumore” onnipresente – intelligibile ma non pienamente raggiungibile – è manifestazione dell’Assoluto. Attirato da questo “nemico rumore”, il poeta risponde all’appello, al suo fascino sacro.
La poesia in questione ne è un chiaro esempio, sul fondo di un cielo che si presume al primo mattino (lo possiamo dedurre dalle tovaglie addormentate) compare una cupola di alabastro, in contrasto con il prato scuro del primo verso. Questa sovrapposizione di oscurità sulla chiarezza è una delle caratteristiche più importanti della poesia di Lezama Lima: le immagini irradiano una luce abbagliante. Una luce che acceca per rendere visibile l’ermetico. Come in Un prato oscuro, la poesia Lezamiana è un invito a percepire l’oscurità dietro il lampo, l’enigma dietro la cupola di alabastro. Verso la fine della lirica il prato oscuro è ciò che si interpone tra l’io lirico e il mondo del sacro, un velo che è possibile attraversare solo con una morte, che il poeta definisce “magica”, a cui fa seguito una rigenerazione segnata dall’incontro con il divino (l’uccello dell’ultimo verso).
Scrive Martha Canfield: «Poiché misticismo, esoterismo e religione confluiscono nel sistema poetico di Lezama, il suo linguaggio ermetico e oracolare risulta difficilmente comprensibile (..) La sua rimane un’opera aperta e il mistero dei suoi versi un invito seducente e inquietante» (da: Infrazioni dell’avanguardia. Poesia pura ed esistenziale, in: Storia della civiltà letteraria ispano-americana, Utet, Torino 2000,T. II, p. 349).
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