Voglio vedere la sera che sai…

Voglio vedere la sera che sai,
il parco tante volte contemplato.
Voglio riudire la musica udita
nella sala notturna dove oscilla

il mio tempo più vero. Che futuro
in te brilla fedele, più splendente,
che possibilità nel tuo frondoso
giardino spento, infanzia, falso muro.

Oh futura sostanza dell’oscura
sera che fu! Istante, astro velato!
T’amo, ieri, non di nostalgia impura,

né perché ami la polvere del vivere,
ma perché solo tu, passato, puoi
condurmi nella luce sconosciuta.

Yo quiero ver…

Yo quiero ver la tarde conocida,
el parque aquel que vimos tantas veces.
Yo quiero oír la música ya oída
en la sala nocturna que me mece

el tiempo más veraz. Oh qué futuro
en ti brilla más fiel y esplendoroso,
qué posibilidades en tu hojoso
jardín caído, infancia, falso muro.

¡Sustancia venidera de la oscura
tarde que fue! ¡Oh instante, astro velado!
Te quiero, ayer, mas sin nostalgia impura,

no por amor al polvo de mi vida,
sino porque tan sólo tú, pasado,
me entrarás en la luz desconocida.

Tra le figure legate all’avventura di «Orígenes», unica presenza femminile fu quella di Fina García Marruz. Nacque nel 1923 a L’Havana in una famiglia borghese (sua madre era una pianista e suo padre un medico). Dai genitori ereditò una propensione artistica e la passione per la lettura (iniziò a scrivere versi in giovane età). La sua decisione di diventare poetessa è legata alla visita a Cuba di Juan Ramon Jimenez, che lesse e apprezzò i versi della ragazza (allora tredicenne), dandole così un importante incoraggiamento. Nel 1940, mentre studiava all’università, conobbe e poco dopo sposò il poeta Cintio Vitier (sua sorella Bella García Marruz aveva sposato il poeta Eliseo Diego). I due condivisero per tutta la vita la loro passione per la letteratura e la poesia. La figura di José Lezama Lima fu un punto di riferimento per entrambi e con lui formarono un solido “triumvirato” che fu il punto di riferimento del gruppo di «Orígenes». Fina García Marruz Aveva cominciato a pubblicare nel 1938 su alcune riviste e nel 1942 era uscita la sua prima raccolta Poemas. Tra il 1942 e il 1943 collaborò alla fondazione della rivista «Clavileño», un periodico che ebbe vita breve, ma al quale parteciparono molti futuri collaboratori di «Orígenes», che vide la luce l’anno successivo. La rivista diretta da Lezama Lima non aveva una definita linea politica (ospitava testi, immagini e contributi di autori di diverse opinioni e simpatie politico-ideologiche), ma metteva al primo posto il valore estetico in un contesto, come quello cubano tra gli anni ‘40 e i ‘50, in cui la corruzione stava dilagando senza freno. Alcune sue poesie apparvero sull’antologia Diez poetas cubanos curata dal marito nel 1948 per i tipi di Orígenes (che fu anche casa editrice), dove l’anno precedente era apparsa la smilza raccolta Transfiguración de Jesús en el Monte. Sia nelle liriche che nei saggi apparsi in questi anni su «Orígenes», Fina García Marruz stava mettendo a fuoco i caratteri del suo stile peculiar e, che i critici definirono “estetica mistica della trascendenza quotidiana” e che svilupperà poi negli anni successivi.

Fondamentale anche per la poetessa fu l’incontro e il dialogo con Maria Zambrano. La filosofia, nel suo citato articolo Cuba secreta così aveva scritto sulla sua amica cubana: «Fina Garcia Marruz, raccolta, avvolta nella propria anima, compie quell’impresa che è scrivere senza rompere il silenzio, la quiete profonda dell’essere. Di conseguenza possiamo aspettarci da lei qualcosa che ha già fatto in Transfiguración de Jesus del monte, ma anche di più: una sola, unica, parola.» (María Zambrano, La Cuba secreta, apparso su «Orígenes», anno V, n. 20, 1948, pp. 3-9. Traduzione mia). La poetessa, più tardi, così ricorda il soggiorno nell’isola della filosofa: «Non passerà mai per noi l’ombra lieve di quelle notti indimenticabili in quell’Habana con lo sfondo azzurrissimo del mare, la cui brezza per Maria portava le ali di una Vittoria decapitata da altri venti impetuosi e che allora riuniva le nostre teste così giovani con quella della nostra amica, venuta da lontano per rimanere sempre con noi, innamorati come lei di ciò che è sul punto di nascere.Secondo Francesco tentori Montalto il contatto tra le due grandi donne avrebbe dato vita a un profondo legame. Scrive in proposito: « Fina Marruz realizza nella sua poesia il messaggio filosofico della Zambrano, la sua capacità di soffrire con amore e di riuscire a mantenere il silenzio nella parola. Questa capacità di restare nell’attesa e nella speranza, coltivando un’esistenza schiva eppure vigile le donano una voce poetica delicata e profonda che le permette di attraversare la nostalgia mantenendo integra la nitidezza del suo sguardo» .

Nel 1951 Fina pubblicò Las miradas perdidas 1944-1950 libro nel quale la poetessa raccolse il meglio della sua creazione letteraria fino a quel momento. Anche se allora non ottenne un grande consenso da parte della critica e dei lettori, anche per via delle immagini non facilmente decifrabili, questo lavoro rappresenta il punto più alto raggiunto dall’autrice nella sua lunga attività. Scrive Catherine Davies: «Ciò che colpisce nella sua poesia è la singolare miscela di familiare e metafisico. La sua poesia è radicata nell’esperienza femminile ordinaria, ma la routine domestica è inframezzata da momenti di profonda riflessione filosofica. Il tema ricorrente de Las miradas perdidas è la fragilità della memoria. Le poesia di questa raccolta offrono una visione rosea della casa dell’infanzia con i suoi magici interni, le sue lampade, gli specchi, i ritratti le finestre che affacciano su un paesaggio simbolico.» (da: Encyclopedia of Latin American Literature, p. 660, traduzione mia). Forse uno dei testi esemplari della poetica della poetessa può essere considerato il sonetto Voglio vedere la sera che sai e che qui di seguito riporto nella traduzione di Francesco Tentori Montalto.