Ciottolo
Senza testa e senza membra
Appare
Con l’eccitante caso
Si muove
Con il passo impudico del tempo
Tutto afferra
Nel suo appassionato
Abbraccio interiore.Bianco, liscio, innocente tronco
Sorride con il sopracciglio della luna.Il sogno del ciottolo
La mano affiorò dalla terra
Lanciò il ciottolo in ariaDov’è il ciottolo?
Sulla terra non è tornato
In cielo non è salito.Che è successo al ciottolo?
Le altitudini lo hanno mangiato
O è divenuto uccello?Eccolo il ciottolo
è rimasto testardo in se stesso
Né in cielo né in terra.Solo a se stesso obbedisce
Mondo tra mondi
da: Nepočin polje (in it: “Campo senza quiete”), Matica srpska, Novi Sad 1956, traduzione tratta da: Il plusvalore della vita. Omaggio a Vasko Popa, Hammerle, Trieste 2008, pp. 35-36.
Autore di questi versi è Vasko Popa, forse la figura più importante nella poesia serba del dopoguerra. Era nato a Grebenac, un villaggio della Vojvodina al confine con la Romania (con una consistente comunità romena che costituisce la maggioranza degli abitanti) nel 1922, in una famiglia per metà serba e per metà romena. Nel 1940 si trasferì a Belgrado (città dove trascorse gran parte della sua vita e dove morì nel 1991) per studiare all’università (si iscrisse alla facoltà di lingue romanze) ma con lo scoppio della Seconda guerra mondiale fu costretto a continuare i suoi studi a Vienna e Bucarest. Durante la guerra combatté per i partigiani di Tito e venne internato in un campo di concentramento nazista. Dopo la guerra riprese gli studi a Belgrado, dove si laureò nel 1949 in lingue romanze (francese). Dal 1948 al 1951 lavorò per Radio Belgrado e nel 1954 entrò nella redazione della casa editrice Nolit, dove lavorò per venticinque anni. Al 1953 risale il suo debutto con la raccolta di poesie Kora (in it. “La corteccia”), ma aveva già cominciato a pubblicare, a partire dal 1951, sulle riviste «Književne novine» e «borba». Il suo esordio sulla scena letteraria lasciò un segno. Alla base della sua poetica vi era una nuova e personalissima sintesi tra surrealismo e folklore, del tutto estranea alla poetica del realismo socialista. L’innovazione e la libertà dei suoi versi senza rima né punteggiatura, il suo linguaggio scarno ed essenziale ma denso, aprirono degli spazi nuovi nella poesia serba. La successiva raccolta, Nepočin polje (in it: “Campo senza quiete”), del 1956, quella da cui sono tratte le due liriche citate, ottenne il prestigioso premio Zmaj e lo consacrò tra le figure di primo piano della scena letteraria dell’allora Jugoslavia. La poesia, che richiama l’omonima lirica del polacco Zbigniew Herbert, sviluppa lo stesso argomento, ma in chiave decisamente surrealista. Si tratta di un tema che colpì profondamente il poeta serbo, il quale vi dedicò un piccolo ciclo di quattro liriche nelle quali possiamo immaginare una sorta di epopea del ciottolo, secondo i canoni della sua poetica degli oggetti più elementari e semplici osservati attraverso il prisma di uno sguardo estraniato. Nel dopoguerra Popa fu uno dei poeti serbi più tradotti all’estero. Nel 1969 uscì una antologia di sue traduzioni in inglese con la prefazione di Ted Hughes mentre negli stati uniti venne tradotto, nel 1979, da Charles Simic. In Italia, invece, la sua presenza purtroppo è relegata in antologie e in edizioni per bibliofili, come quella da cui sono tratte le traduzioni citate.
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