Questa lettera

Il palmo ci precede
il palmo che ci guida
e guarda
accarezza i nostri capelli
esce dalla spalla
risplende mentre si avvia per il mondo
e subito dice: ferma
l’uomo si deve ricordare
mentre batti col palmo sul palmo
la coscienza gli si rafforza
e il percorso si identifica con la linea di confine
dove ti viene incontro il segno
il grande palmo dalla pietra
il pugno intagliato nella roccia
lo intravedi appena nella grotta
le dita compatte infilate nel muro
fanno luce come voce
non conosciuto e non saputo
arriva da lontano
desideroso di incontrarsi con se stesso
con te
che nel tuo palmo
e con le tue dita
resti nella maggioranza
tra i molti “se stesso”
di giorno in giorno
dato
là dove i segni s’incontrano
e si accalcano
la tua stanza è
un appartamento pubblico
l’anticamera del ritorno
nella piena coscienza
che guida dentro
a fondo
nei delicati crini
e gli strani specchi
Io
vedo ancora un me
che fiorisce
di dentro
in piantine antiche
i cui petali toccano Tutto.

da: Poesia serba contemporanea, Forum/quinta generazione, Forlì 1988, pp. 61-62, traduzione di Sandro Damiani.

Miodrag Pavlović nasce a Novi Sad nel 1928, ma ha vissuto sempre a Belgrado, dove il padre lavorava come direttore delle Poste centrali. Il bombardamento di Belgrado del 6 aprile del 1941 segnò la fine dell’infanzia felice. Durante l’occupazione, il padre venne arrestato e la famiglia fuggì nella campagna della Serbia meridionale. A questo periodo risalgono i primi abbozzi e tentativi poetici. Successivamente tornò a Belgrado, dove si erano rifugiati i parenti della madre fuggiti dalla Croazia. Tra loro, vi era il poeta Radomir Prodanović, che fu per il giovane Miodrag un modello. Il 16 aprile del 1944, giorno di pasqua, la madre lo mandò a fare gli auguri ai parenti, ma lungo la strada suonarono gli allarmi del bombardamento. Miodrag decise di tornare indietro, mentre i parenti perirono sotto le bombe. Considerò l’essere rimasto in vita un segno del destino e la sua vita segnata da una predestinazione. Dopo la maturità classica si iscrisse a medicina nel 1947, continuando a scrivere poesia.
Nel 1952 esce il suo primo libro di poesia 87 pesame (in it. “87 poesie”), che segnerà, insieme all’esordio di Vasko Popa dell’anno successivo una svolta nella poesia serba del dopoguerra, che grazie a questi due giovani poeti si lasciò alle spalle la retorica del realismo socialista. Già dal suo esordio, la poesia di Pavlović mostrava una cifra stilistica personale, nella quale la mitologia rappresentava l’incontro tra il piano umano e quello divino, alla ricerca di un fondamento della realtà e della vita antico e, allo stesso tempo, contemporaneo. Inizialmente condivideva con il suo amico Vasko Popa la passione per la sperimentazione linguistica (come testimonia anche la poesia che abbiamo presentato, che appartiene a questa prima fase), ma successivamente, almeno a partire dalla raccolta Mleko iskoni (in it: “latte atavico”) del 1963, si indirizzò verso un suo originale mondo poetico caratterizzato da continui riferimenti al passato remoto, dalla classicità greco-romana ai personaggi del medioevo serbo, messi però in relazione alla contemporaneità attraverso la dimensione universale del mito.
Dal 1954 esercitò la professione medica, ma in seguito tra il 1960 e il 1961, fu direttore del Teatro di Belgrado e, a partire dal 1961 e fino al 1984, diresse la casa editrice Prosveta. Nel 1978 fu ammesso all’Accademia Serba delle scienze e più volte fu candidato al premio Nobel. Fu anche un brillante saggista, tradotto in molte lingue europee.