Ogni cosa ha occhi e ali in questa
notte romana che pare contenere
un annuncio, sono contagiata dalla tua
leggerezza, ma seduti a cena nella sera
estiva, al Ghetto in mio onore,
parliamo con altre voci, pur specchiandoci
nelle pupille dilatate dell’altro.
Ha fatto freddo nelle nostre vite,
e forse questa sera è una parentesi
dovuta, di una mai avuta grazia passeggera.
Non mi sorprende il tuo tocco sulla mano,
è la conferma di una domanda
che chiede assoluzione, punto di arrivo
di una rincorsa  che parte da lontano.

Cuore catafratto che prova a uscire fuori
e non risolve lo spavento redivivo,
avremo tempo per tornare ad essere soli…

da: Fioriture capovolte, Einaudi, Torino 2018, p. 20

 

Nata a Genova nel 1963, si è laureata in Lingue e Letterature Orientali all’Università di Ca’ Foscari, a Venezia. Ha lavorato per la casa editrice Einaudi, come redattrice ed editor di poesia, fino al 2004, anno in cui è uscito, per lo stesso editore, Clinica dell’abbandono di Alda Merini, da lei curato. Ha pubblicato la raccolta Il sistema limbico per le Edizioni di Atelier nel 2008, e altri testi poetici in riviste e antologie collettive. Nel 2010 è uscito Unità di risveglio, per la Collezione di Poesia Einaudi. Per lo stesso editore ha curato Nuovi poeti italiani 6, antologia di voci poetiche femminili che ha suscitato un vivace dibattito e una larga eco, uscita nel 2012. La sua terza raccolta poetica, il numero completo dei giorni, è stata pubblicata da Nino Aragno editore nel 2014. A maggio 2018 è uscita una nuova raccolta, Fioriture capovolte, ancora per Einaudi editore. Recentissima, del luglio 2019, l’autoantologia con inediti Frammenti di felicità terrena, pubblicata nella collana “Gialla oro” di LietoColle /Pordenonelegge. In corso di stampa, per un progetto pilota delle edizioni di Pangea curato da Davide Brullo per conto dell’Ospedale S. Matteo di Pavia, la silloge in lasse prosastiche Un altro tempo. Vive e lavora a Milano. La sua poesia è fortemente legata alla dimensione (auto)biografica ma allo stesso tempo ricca di rimandi ed echi a poeti e poetesse contemporanei. Di lei ha recentemente scritto su «Il Manifesto» (edizione del 5/12/2019) Tiziano Fratus: “Fra i diversi solchi che segnano la terra della poesia dei nostri giorni, ne esiste uno molto profondo, che vede il poeta come un autentico esploratore della parte più dolente e lancinante dell’esistente, una spugna che si imbeve di ogni manifestazione catramosa della realtà e si pone come filtro, specchio capace di rimandare altrove, all’attento occhio di un lettore scrupoloso, la descrizione più chirurgicamente precisa ma, inevitabilmente, contraffatta, della reale sofferenza del vivere.”

Di recente lei ha curato il sesto volume della serie “Nuovi poeti italiani” per la prestigiosa collana di poesia dell’Einaudi.  Come è nata la scelta di ospitare esclusivamente autrici? Ritiene che, almeno in relazione alla poesia del ‘900, esista una categoria specifica, che potremo definire “poesia femminile” (non mi viene in mente una migliore definizione), con caratteristiche proprie?

A dire il vero la mia curatela di Nuovi poeti italiani 6 non è così recente, visto che il libro è uscito quasi otto anni fa, nel 2012, come parte di una serie (quella dei “Nuovi poeti italiani”) iniziata negli anni ’80 con l’intento di segnalare autori ancora non compiutamente affermati. In questo senso, la scelta editoriale di dedicare questo lavoro esclusivamente a poetesse è dovuta al fatto che pensavamo ci fosse una lacuna da colmare, considerata la quantità di ottime autrici nell’odierno panorama contemporaneo italiano a fronte della cronica disaffezione dell’editoria italiana nei loro confronti . Fino agli anni Settanta le antologie poetiche sono state esclusivamente maschili. L’antologia di Pier Vincenzo Mengaldo del 1978, che rimane il punto di riferimento più autorevole per il canone del ‘900, riporta la sola Amelia Rosselli, nonostante non siano mancate, nel corso del secolo, autrici di rilievo, dalla Negri alla Guidacci, da Fernanda Romagnoli a Cristina Campo, o Antonia Pozzi. Nelle principali collane di poesia le poetesse erano ancora un esiguissimo numero.

Ciò posto, l’uscita dei Nuovi poeti italiani 6 ha provocato un salutare scossone (le polemiche, virulentissime, sono andate avanti per mesi).

Venendo alla seconda parte della domanda, chi ha letto la mia introduzione al volume sa che ritengo valga, almeno per tutto il ‘900, una certa differenziazione della poesia femminile, che origina proprio dalla sua esclusione storica dal canone letterario. In virtù di ciò, credo si possa affermare che abbia goduto e goda di una maggiore libertà, nel senso che è stata meno soggetta ai condizionamenti scolastico-accademici. Questo, a mio avviso, si è tradotto in una forte tensione conoscitiva e in una fiducia sorgiva nello strumento-linguaggio; inoltre, nella poesia femminile, vi è un forte dato esperienziale, una marcata aderenza fra scrittura e dato biografico, oltre ad essere, quest’ultima, radicata nel corpo, nel bios. Infine, è espressione di una soggettività allargata, anche in presenza di un io lirico, che tende a farsi comprensivo noi. Questa, mi pare, la refertazione, ad oggi: siamo in presenza di un dato storico, di esiti che hanno avuto origine da condizioni storicamente determinate. Per fortuna, quanto meno nella società occidentale, l’emancipazione femminile, per quanto in via di compimento, è un dato di fatto. Spero che, in futuro, si potrà considerare la poesia come una, indipendentemente dal genere di chi la scrive.

Quale, secondo lei, lo spazio della poesia (e lo statuto del poeta) nell’era digitale? Ritiene che debba cambiare, evolvere o rimanere sostanzialmente uguale a quello dell’era analogica?  Quale, secondo lei, il corretto rapporto tra la poesia, il poeta e il mondo dei social media?

Penso che, mutatis mutandis, il ruolo del poeta continui ad essere quello di colui che interviene creativamente nella lingua e, per dirla con Harold Bloom, “mette il proprio immaginario al servizio del lettore”. Paradossalmente, ma neanche troppo, il digitale offre alla parola poetica uno strumento/veicolo nuovo, che se ben usato può amplificarla. L’importante è mantenere una vigilanza sulla qualità della scrittura, che può essere garantita da siti e blog “doc”. Rimane, naturalmente, fondamentale il loro ruolo di “filtro”, così come quello dell’editoria cartacea, imprescindibile. Oggi una delle voci più significative della poesia italiana contemporanea, Maria Grazia Calandrone, ha twittato: “fatta l’analisi dei dati informatici, inserire poesia nel linguaggio del web, cioè un controcanto di onestà, chiarezza, musica e narrazione. anche l’homo informaticus ha corpo, cuore e battito cardiaco. anche da qui si può guardare al mondo con stupore.”

Ritiene che il destino della poesia nella nostra epoca sia quello di rimanere relegata in una nicchia di cultori (il più delle volte autori essi stessi) oppure che sia possibile uscire dai confini di una ristretta cerchia di fruitori, senza esserne snaturata?

Bisogna intendersi sul concetto di poesia. Non dimentichiamo il Nobel recente a Bob Dylan… Credo che la poesia come versificazione “alta” rimarrà, necessariamente, destinata a un pubblico di élite, mentre forme più “popolari” di poesia, come quelle cantautorali o (si diceva sopra) gli autori che stanno conoscendo una enorme fortuna nel mondo dei social media (come Rupi Kaur, Lang Leav o Atticus e Tyler Knott Gregson, per citarne solo alcuni – ma anche il “fenomeno” Kate Tempest, la poetessa rap) sono il corrispettivo odierno della poesia popolare.

Ho avuto modo di leggere (e apprezzare) la sua ultima raccolta, Fioriture capovolte. Ciò che mi ha colpito è il peso specifico dei ricordi personali. In relazione alla poesia contemporanea, quale, secondo lei, dovrebbe essere il giusto rapporto tra le esperienze biografiche, la sfera privata e la creazione letteraria. Non crede che, parlando solo di sé, il poeta possa correre il rischio di diventare autoreferenziale?

Non ci sono ricette e non ci sono prescrizioni. Parto dal presupposto che i sentimenti siano universali, e così le esperienze umane. Il punto, per chi scrive, è riuscire a rendere (stilisticamente, con un uso creativo e personale del linguaggio) l’universalità della propria esperienza, riuscendo così a trasfigurarsi e a parlare al lettore, di ogni luogo e di ogni tempo. Questa, per chi scrive, è la grande sfida. Naturalmente non sta all’autore giudicare i risultati della propria scrittura, ma a lettori, critici e, in ultimo, al tempo. Chi ha letto Fioriture capovolte, in particolare, non può non aver colto il dialogo continuo fra il dato personale e la sua contestualizzazione storica, che spero sia un valore aggiunto. Devo in ogni caso registrare come un dato di fatto che questo sia, fra i miei libri, quello che più consensi ha avuto da parte di lettori (in molti mi hanno scritto di essersi riconosciuti nelle mie parole) e di critica, risultando vincitore, fra l’altro, del Premio Camaiore per il 2019.