Unico Amore e Duo (VI)
Mistero come Iddio, uno e trino,
questo nostro amore, unico e duo,
gonfio di sogni, ammalato in ricordi,
con occhi bendati, con mani legate,incarcerato fa guardia a se stesso,
vergine ai fianchi invita al peccato,
si cela e si compiace esser visto,
devoto alla verità e alla menzogna.È pace ed è turbolenza perenne
e con l’alba e con il tramonto sorge,
sempre in cammino da mattina a sera,a notte buia, stella, non tramonta,
a mezzodì brucia e luce dilaga.
Amore – sole incandescente e buio.
trad. di Grytzko Mascioni, in: Ciril Zlobec, Itinerario d’amore, Fondazione Piazzolla, 1997 Roma, p. 141.
Questo sonetto, tradotto dal poeta della svizzera italofona Grytzko Mascioni, è dello sloveno Ciril Zlobec, uno dei migliori traduttori dall’italiano nella sua lingua (la familiarità con la nostra lingua è antica, dal momento nacque nel 1925 a Ponikve sul Carso, attualmente a quindici chilometri dal confine ma allora parte del Regno d’Italia), scomparso nel 2018. Fu anche presidente della Lega degli scrittori jugoslavi tra il 1985 e il 1986, vicepresidente dell’Accademia delle Scienze ed Arti slovena, deputato al parlamento del suo paese per due legislature per il Partito socialista e, successivamente, stretto collaboratore del presidente Milan Kučan (primo presidente della Slovenia indipendente). È scomparso di recente, nel 2018. Nacque in una famiglia di contadini, settimo figlio. Studiò al ginnasio a Gorizia e al seminari di Capodistria, ma nel 1941 ne fu espulso per “assenza di spirito religioso e indisciplina”. Poco dopo, all’età di diciassette anni, venne confinato in Abruzzo per sospetta attività antifascista (aveva cominciato a scrivere e diffondere sue poesie in sloveno). Tornato in patria nel ’43, entrò nelle fila della resistenza e, alla fine della guerra, si trasferì a Lubiana, dove si laureò in slavistica (negli anni degli studi dirigeva «Beseda», rivista che gravitava nell’orbita del surrealismo e dell’esistenzialismo francese) e successivamente si dedicò al giornalismo (lavorò per la radio e per diverse testate e dal 1969 al 1972 fu redattore del settore cultura nella TV slovena).
Nel 1952 il celebre scrittore, drammaturgo e poeta croato Miroslav Krleža pubblicò il famoso Discorso al congresso degli scrittori di Lubiana, che segnò ufficialmente la fine della dottrina del “realismo socialista” nella Jugoslavia (ciò era avvenuto anche a seguito della rottura tra Stalin e Tito che si era consumata nel 1948). A seguito di queste aperture riformiste (che anticiparono di qualche anno il “disgelo” del ’56 in Unione Sovietica e nei paesi del Patto di Varsavia), poté debuttare una generazione di giovani poeti, tra cui i serbi Vasko Popa (che Zlobec tradusse in sloveno nel 1963) Miodrag Pavlović e il croato Antun Šoljan, che sarebbero diventati i protagonisti della scena letteraria jugoslava nei decenni successivi. In Slovenia i tempi nuovi furono segnati dalla pubblicazione, nel 1953, della raccolta Pesmi štirih (in it.: “poesie dei quattro”), firmata, oltre che dal nostro, anche da Janez Menart, Kajetan Kovič e da Tone Pavček. Nel 1954 Ciril pubblicò una traduzione dei Canti (in sloveno Pesmi) di Leopardi, a cui seguirono quella de La vita nuova di Dante Alighieri nel 1956, delle liriche di Salvatore Quasimodo nel 1960 e di Eugenio Montale nel 1975. Il suo vero debutto però risale al 1957 con la raccolta di poesia Pobeglo otroštvo (in it. “l’infanzia fuggita”). La lunga e approfondita frequentazione della tradizione poetica italiana, legata anche alla sua attività di traduttore, lasciò una traccia anche nella sua produzione poetica (nel sonetto che abbiamo citato sembra evidente una lontana eco petrarchista, seppure in chiave moderna), anche se il poeta non ha mai rinnegato le sue origini contadine. Forse il poeta italiano più affine alla sua poetica però sembra essere Giuseppe Ungaretti (che tradusse nel 1980) come nota giustamente Giacinto Spagnoletti: «in Zlobec si è fatto tenacemente sentire il sogno ungarettiano, di una poesia che sia essenzialmente ricerca della parola, unica identità del poeta. Questi è uomo finché la possiede. Così nello spazio letterario, la parola assume una giustificazione che va oltre la misura del dialogo, inteso al suo livello inferiore, configurandosi nella dimensione del mitico. Nel rincorrere questa meta Zlobec attribuirà alla parola valori variabili, ma sempre in sintonia con il gesto originario dell’indicare, dell’amare» (da: Introduzione, in: Op. cit., p. 13) Non a caso proprio Zlobec, nella sua lirica Le parole dichiara: «Esse sono tutto: ciò che è stato ed è, sono e saranno tutto quanto sarà» (Op. cit., p. 65).
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