New York

Infetta carogna slabbra desiderato ventre calore odore vapore
di vento bifaccia a morire c’è tempo
ogni ora uno spazio da riempire
nell’entrata accattivante vita morte che spreco altrove.

Guardare confermare tacere allo spettacolo
stabilito cronologie fissate benvivere
tra quattro ganasce fili di grasso rappreso
v’intendete a segni senza impazienza
benprotetti da sedie a voltaggio duemila.

Canta ad Harlem il negrocieco e riscatta al domani
l’improbo oggi fatica speranza vigore macinato
in anni d’attesa e brucia il suo vizio congenito all’alba
impietosa delle mille bottiglie lasciate per strada.

E basta andare un poco più in qua della Riverside signorile
c’è gente che non è mai andata più su della centoventesima
limite di sicurezza accertato a più piani
armonie educate ad accenti non disuguali
per figli scelte noiose da compiere
quanta fatica per bellelabbra rosate perlate
riservate inscatolate in ascensori demodé
pregni di legno familiare disponibile al tatto caldo benefico
all’entrata all’uscita l’uomo in divisa
gestisce le quattro parole da ripetere fino alla fine.

Ma che sarà di te ventre-città usurpato
a chi porterai i tuoi fiori di carta
tra l’urlo sgozzato nel parco centrale
e la sirena che impazza tra ignoti passanti
ciechi all’impiccato che sbava i suoi ultimi rantoli
a chi presenterai la tua carta di credito
ed i tuoi social security number
tu di fronte a questo gabbiano smarrito sull’acqua
che cerca la sua casa d’un tempo.

Prima pubblicazione: Simulazione di reato, Lacaita editore, Manduria 1979, p. 25-26. Riproposta con lievi modifiche in: Terra del tempo e altri poemetti, Book editore, Bologna 2000, pp. 23-24.

 

La città di New York è stata cantata in molte poesie novecentesche (basti ricordare Poeta en Nueva Yorkra di Federico  Garcia Lorca). Quella di Luigi Fontanella, stampata per la prima volta nel 1979, ma scritta nell’inverno del 1978 e che, stando a quanto l’autore stesso dichiara: «quintessenzia tutta la mia rabbia linguistica ed esistenziale derivata dal mio primo impatto con l’America». Il fatto di averla riproposta, con lievissime modifiche (che abbiamo recepito in questa versione) nel 2000 dimostra che con il passare del tempo si è dimostrata una delle sue migliori prove. L’uigi Fontanelle vive tra Roma, Firenze e Stony Brook (Long Island, New York). È ordinario di Lingua e Letteratura Italiana presso la State University di New York. Ha pubblicato libri di poesia e saggistica. Tra i titoli più recenti: Pasolini rilegge Pasolini (Archinto 2005), L’azzurra memoria. Poesie 1970-2005 (Moretti & Vitali 2007), Oblivion (Archinto 2008). Per la narrativa ha pubblicato varie prose in rivista e il diario-racconto Hot Dog (Bulzoni 1986). In una breve postfazione alla raccolta del 1979 da cui è tratta la prima edizione, egli stesso spiega in maniera molto dettagliata il processo che presiede la sua creazione artistica: «Mi sono spesso chiesto il significato, il perché di certe parole o monconi di frasi trovate/catturate nella loro genetica fragranza; mettiamo, nei dormiveglia, nelle mie periodiche crisi di malinconia, in certi stati reattivi, di assoluto fastidio, di furore dissacrante e distruttivo, o di tale distrazione della mente: situazioni, queste, (ma non solo queste), che in genere mi provocano inconsueti affollamenti/traffici verbali mentali tumultuosi improvvisi, a catena, assolutamente non voluti e incontrollati. Parole a volte insistenti, sconosciute, agenti in virtù di una loro presenza che ne soppianta la rappresentazione. È da qui che mi nasce una specie di rovello “linguistico”, di cui non poche volte i miei versi sono il risultato. Un rovello, beninteso, che non si risolve mai in un “abile” virtuosismo tecnicistico, piuttosto in un estenuante, a volte ossessivo, fisicamente spossante, lavoro sulla parola, dentro la parola, intorno alla parola, tendente vertiginosamente a significarsi in un discorso di tipo paratattico» (Nota, in: Simulazione di reato, op. cit., p. 127). La poesia in questione sembra essere un esempio assai calzante del processo artistico così ben descritto dallo stesso autore. Scrive a proposito, nella citata raccolta di poesia, Fabio Doplicher «In Fontanella, la musicalità del verso alterna sequenze fluenti a ritmi incalzanti, da Blues, e il poeta, come un sax tenore, misura il suo fiato in variazioni e arabeschi (..). La poesia, per Fontanella, è infatti un “agire” attraverso brucianti partenze, magari verso lunghissime strade deserte, per misurarsi, come gli eroi della beat generation, alla sfida degli incroci. Quello che conta è la partenza, il tempo, il ritmo, un meditato eppure non contrastante dichiararsi “non qui” del poeta. L’incrocio di queste ricerche, di queste esperienze, di varie matrici culturali, realizza uno stile: dentro la catastrofe, dentro la collisione col presente, con la nostra storia, con quelle ragioni segrete che stanno sotto ogni vera poesia.» (Ibidem, p. 9-10).