Un giorno venne la paura
a visitarmi in un tempo in cui io mai
l’avrei attesa ed ero concentrata
su biancheria lavata, accatastata
in una valigia nera per partire.
Le lacrime furono come l’acqua
calda e rugginosa nei lavabi
delle case nel sud dell’Europa.
La paura ruba il pomeriggio
e l’abilità del muratore
che costruisce e in ciò che ha fatto abita.
Così una casa fu il mio viaggio
fino al giorno della visita inattesa.
* * *
Il più sobrio dei silenzi è sempre duro
e sordo come te dall’altra parte.
Se muoviamo le labbra le vediamo
ma dovresti dirmi quale lingua
vuoi parlare perché io possa seguire
il tuo labiale così lento così serio
evitare che gli occhi se ne vadano
sulla pioggia tutt’intorno
che davanti alla tua faccia il vetro imperla.
* * *
Torno dove termina la strada
dove resta solo il bivio
dove trovo i calcinacci ma anche l’erba
spontanea che ci cresce in mezzo.
Se è malerba non so dirlo
ma i cani contro il male se la mangiano.
Dove finiscono le strade, anche le cose,
impacchettate da altri da scartare
c’è una parola piccola su un’insegna
una frase sbagliata di un poeta,
lì stanno un solco e una crepa
nel muro e il mio occhio che vede
il mio dito che dentro si infila.
tratte da: Poesia contemporanea, undicesimo quaderno, Marcos y Marcos, Milano 2012
Mariagiorgia Ulbar è nata in Abruzzo. Ha pubblicato la raccolta poetica I fiori dolci e le foglie velenose (Maremmi 2012), la silloge Su pietre tagliate e smosse all’interno dell’Undicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2012), le plaquette illustrate in edizione limitata Osnabrück e Transcontinentale (Collana Isola 2013), la raccolta Gli eroi sono gli eroi (Marcos y Marcos 2015, vincitrice del premio Dessì), Un bestiario (Nervi Edizioni 2015), le poesie del libro di illustrazioni Metamorphosis di Elisa Talentino (La Grande Illusion 2016) e Lighea (Elliot 2018). Sue poesie sono state tradotte in inglese, tedesco, spagnolo, polacco e bulgaro. Conduce laboratori di scrittura poetico-visiva. È fondatrice e curatrice delle edizioni Isola.
Quali sono stati i poeti più importanti nel suo apprendistato, quelli che nella sua formazione ritiene abbiano avuto un ruolo importante o quelli a cui le è capitato, agli inizi, di ispirarsi o con i quali ritiene di avere un qualche debito?
Ho letto molta poesia fin dalla più giovane età e non so più distinguere: è come se un lungo testo mi accompagnasse, a portarlo voci molteplici di autori di epoche e lingue diverse. Ho assorbito, ma, scrivendo, scrivo senza debiti e senza rimandi coscienti, piuttosto ignoro tutto e presto la mia voce a quell’unico testo.
Quali ritiene sia il modo più valido e corretto per accostarsi alla poesia contemporanea (e alla sua poesia) da parte di un giovane che passa dalla lettura della poesia alla scrittura?
Accostarsi per rispondenze e per analogie, senza la pretesa di capire le ragioni ultime, affidarsi alla portata del linguaggio.
Ritiene che la poesia contemporanea debba essere accessibile anche a un pubblico più vasto, oppure ritiene inevitabile il confino in una cerchia ristretta di lettori e critici?
La poesia può essere accessibile a chiunque e ho avuto esperienza di questo. Le letture possono essere molteplici, diverse, caotiche, entropiche. Bisogna, però, eliminare pregiudizi comuni, quasi tutti legati alla pretesa di una comprensione razionale e di un ordine precostituito.
Quando le scrive oppure mentre le sue poesie stanno per essere pubblicate, le capita mai di pensare a un lettore ideale? Riesce a identificare questa figura di “lettore ideale”?
No. Ho alcuni lettori fidati, che sono le prime persone a cui invio le mie poesie e che in totale libertà e confidenza mi parlano di esse oppure non dicono nulla. Non penso a un lettore a cui vorrei piacere, non modello un testo su una preferenza di ricezione. Mi è capitato di scrivere testi dedicati e allora in quel caso sì, speravo che riuscissero a trovare una via essenziale per parlare alla persona a cui erano indirizzati. Tutti gli altri lettori e lettrici hanno poi letto liberi dalla dedica contenuta nel testo e senza trattenute.
Ritiene che l’autore di poesia debba essere, nello stesso tempo, anche un critico, della propria e dell’altrui poesia, oppure ritiene che le due figure debbano rimanere distinte?
Non importa come vada, si può essere una sola cosa o più d’una, si tratta di occasioni, ma ciò che importa è il testo come espressione del linguaggio nel suo potenziale. Se si è critici, accademici o altro, però, è bene scordarsi del mestiere.
Qual è e quale potrebbe essere il ruolo dei social nella poesia contemporanea? In che rapporto è la sua poesia con il mondo dei social?
La mia poesia, al momento, non ha rapporti con i social: è una scelta e insieme una questione di pigrizia e non so cosa venga prima. Penso che potrebbero esserci connessioni interessanti e potenti, anche se, al momento, sui social si trova perlopiù un’idea di poesia come di espressione emozionale d’effetto che spesso finisce per essere retorica e debole e che ammazza il potenziale del linguaggio.
Dal momento che ha avuto modo di collaborare con il fotografo Gaetano Bellone, le chiedo: quale rapporto dovrebbero e potrebbero avere la poesia e la fotografia?
Poesia e immagine sono strettamente legate e forse sono la stessa cosa. La poesia nasce nella mente come immagine e si disegna con parole che sono tratti. Se la poesia è buona, l’immagine compare. Poesia, fotografia, arti visive e plastiche, hanno la stessa matrice.
Personalmente concordo quanto ha scritto Fabio Pusterla: «la poesia di Mariagiorgia Ulbar mi è subito parsa difficile da definire con precisione, da incasellare in categorie tranquillizzanti; i suoi versi toccano, colpiscono, più raramente carezzano, e un attimo dopo sono già altrove, sfuggenti; ne cogliamo la realtà spesso quasi materica, dura e tangibile; e tuttavia non riusciamo a trattenerli, e siamo allora pervasi da una sorta di inquietudine, da un senso di movimento, di ricerca e di fuga» (in Poesia contemporanea, undicesimo quaderno, Marcos y Marcos, Milano 2012, pp. 256-257).
La poesia di Mariagiorgia mi è parsa da subito un mondo affascinante, ma allo stesso tempo enigmatico. Non sono riuscito a decifrarne la cifra stilistica e i suoi punti di riferimento (le risposte alle mie domande, brevi e laconiche, al pari delle sue poesie, non aiutano molto in questo senso). A proposito delle sue poesie ha scritto Emilio Varrà: «Riecheggia in esse un tempo di soglia, una sospensione lì lì per cedere e che inevitabilmente porterà alla perdita delle tane, dei rifugi, delle stanze di un tempo. Non fosse per le parole, che si dispongono in fila a trattenere oggetti, sensazioni, pensieri oramai andati» (Ibidem).
Se dovessi mettere in luce l’aspetto che più mi affascina della sua poesia, è la sua prossimità a un “diario di viaggio” nel quale l’autrice registra, con un suo personale stile laconico ed essenziale, incontri e pensieri; un mondo aperto all’incontro con l’altro e sempre in continua mutazione in cui ogni lirica è, nello stesso momento, punto di arrivo e punto di partenza. Una dimora nel movimento delle cose nel quale la tensione verso verità e bellezza è appena accennata.
"Calcedonia", poesia dalle implicazioni meta-poetiche, esemplifica bene quella che Carlo Ferrucci, il curatore della traduzione di "Vivir", definisce una caratteristica saliente di questa raccolta: «il ricorso a un linguaggio il più possibile corporeo, o meglio, e più radicalmente, materico, che lungo tutta la raccolta torna continuamente a ribadire la volontà della parola di Clara Janés di farsi - sulla spinta dell'amore totale si cui si è detto e al pari dei fiori le piante le pietre - carne e ossa e sangue della terra»
La poesia fu al centro della sua biografia intellettuale. Dotata, tra l’altro, di una notevole abilità nel maneggiare la lingua, la rima e le assonanze, Natália Correia seppe coniugare in modo coerente e conseguente le sue passioni civili (fu deputata nelle file del Partito Social Democratico tra il 1980 e il 1991) e quelle letterarie.
«Retamar ha scelto il colloquio, la conversazione come modo e forma di espressione, come modello di poesia, come per coinvolgere il lettore e la sua coscienza, impegnandolo alla riflessione anziché offrendogli un godimento estetico; una poesia fatta di piccole cose, impastate con l'esperienza di ogni giorno, a volte umoristicamente dissacratoria, altre drammaticamente tesa» - Silvio Bertocci
quella che il poeta cercava all'interno della lingua inglese era una originale prosodia "americana", al pari dei musicisti jazz che proprio i quegli stessi anni stavano creando un loro linguaggio musicale. William Carlos Williams trovò la sua lingua nella realtà delle cose, nella natura e nelle persone intorno a lui
"Anche i surfisti sono poeti / se li consideri in un certo modo" dichiara Lawrence Ferlinghetti, poeta nordamericano di origini italiane, in una delle sue più celebri poesie che tocca questioni di meta-poetica.
La figura di Daria Menicanti, negli ultimi decenni sostanzialmente dimenticata, attende da tempo una giusta ricollocazione nel panorama della poesia italiana del '900. Ma la cosa forse più importante è che la sua poesia desta ancora oggi, a distanza di diversi decenni, stupore e ammirazione anche in un lettore distratto per la sua capacità di scolpire in poche parole un ricco mondo poetico.
Le sue poesie possono essere considerate una testimonianza delle passioni e delle inquietudini di una donna che fece della propria libertà il valore supremo. Non un aspetto trascurabile e secondario della sua creazione letteraria, ma un altro volto della sua scrittura incentrata sul binomio vita-arte.
«la sua intonazione più costante è una forma di accostamento ideale alla straordinaria solitudine, rimasta peraltro unica nella nostra storia letteraria, di Leopardi» Giacinto Spagnoletti
Lo spunto ecfrastico (l'ecfrasi è il genere di poesia che descrive un oggetto artistico) rappresenta un interessante punto di partenza che introduce un sottile paradosso: dal momento che Joan Mirò è un pittore notoriamente astratto già l'intenzione di descrivere un suo quadro presume un atto contraddittorio e arbitrario
Al centro della poetica dell'autrice c'è il mondo contemporaneo, la sua sfuggente rappresentazione, la questione dell'identità connessa con una visione globale (a cui è legata per necessità e virtù anche la scelta di scrivere in inglese) che rende i fenomeni della "babele metropolitana", ricompresi in una sincronia totale senza forma né confini, un groviglio di enigmi da decifrare
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