Faccia, zig zag anatomico che oscura
La passione torva di una vecchia luna
Che guarda sospesa al soffitto
In una taverna café chantant
D’America: la rossa velocità
Di luci funambola che tanga
Spagnola cinerina
Isterica in tango di luci si disfà:
Che guarda nel café chantant
D’America:
Sul piano martellato tre
Fiammelle rosse si sono accese da sé.

 

Questa lirica di Dino Campana tratta dalla prima edizione dei Canti orfici, del 1914,  risale a dicembre del 1913. Campana era andato a cercare Papini e Soffici alla redazione del «Lacerba» col suo unico manoscritto in cerca di una collocazione editoriale; vi ritorna un paio di mesi dopo, in occasione dell’inaugurazione di una mostra di arte futurista patrocinata dalla rivista.  Campana visita questa mostra e vede il quadro di Soffici (pittore d’avanguardia e scrittore che era stato a Parigi e che aveva preso posizione contro il Cubismo) Danza dei pederasti. Al suo amico Pariani a proposito del quadro, racconterà: “Rappresentava un ballo in un caffè concerto d’America. Era frammentario. Forme luminose più che figure; spiccava una faccia. C’erano delle lanterne al soffitto; e uno dipinto come se suonasse il piano”. Si tratta di una testimonianza doppiamente interessante, sia in relazione al quadro, che venne successivamente distrutto dallo stesso autore (ma del quale è stata ritrovata una fotografia), sia in relazione alla poesia.
Nella lirica in questione le impressioni del poeta sono probabilmente frammiste ai ricordi personali. Pare infatti che Campana avesse fatto il pianista durante il suo misterioso soggiorno in Argentina, (il quadro rappresentava un ballo in un caffè concerto d’America). Com’è noto, i Canti orfici furono originariamente scritti
 nel 1913, in una prima ed unica stesura che portava il titolo Il più lungo giorno. Il manoscritto, consegnato a Papini e Soffici alla redazione del «Lacerba», a settembre di quell’anno, venne smarrito, costringendo Campana a riscrivere l’opera, come egli affermò, a memoria.

Solo nel 1971 venne ritrovato tra le carte di Soffici. Quando il manoscritto fu recuperato, risultò che i testi de Il più lungo giorno erano confluiti nei Canti Orfici, a cui si erano aggiunte altre parti. Ciò malgrado la perdita fu sentita dall’autore in modo cosi drammatico da far supporre che i Canti fossero un riflesso della poesie del manoscritto perduto. Quando Il più lungo giorno fu ritrovato, ci si rese conto che esso rappresentava solo una tappa nella elaborazione dei Canti. L’esasperazione che questo smarrimento continuò a provocare in Campana è il segno che egli considerava la scomparsa di quel manoscritto come la perdita irrecuperabile di un anello essenziale nella catena evolutiva del suo testo.

Il viaggio in Argentina e Uruguay risale probabilmente al 1908 (non si è riusciti a ritrovare alcuna traccia o testimonianza, ma quell’anno era stato richiesto dal padre il passaporto per il viaggio). A febbraio del 1910 Dino venne dichiarato alienato nel manicomio di Tournay, in Belgio, dove si trovava presumibilmente di ritorno dal viaggio in America e a giugno dello stesso anno venne disposto il suo rimpatrio. Nell’inverno 1910-11 Dino è di nuovo a Firenze, iscritto a un corso di lingue che non concluderà mai. Nel 1912, a Bologna, su invito del padre, riprende gli studi di chimica pura interrotti nel 1906 e pubblica alcune poesie su riviste studentesche. Ma lo stesso anno, dopo aver superato brillantemente un esame, decide di abbandonare gli studi e di dedicarsi interamente alla poesia. Si trasferisce a Genova e si avvicina al futurismo: scrive la poesia Traguardo, dedicata a Marinetti e la spedisce a Milano alla sede del Movimento Futurista con altri testi e una lettera d’accompagnamento in cui si parla di un libro.

Arriviamo così alla data del 30 novembre del 1913, quando il quadro di Soffici venne presentato nella mostra presso la libreria Gonnelli di Via Cavour. La poesia non compariva nella prima versione del manoscritto, perduto e ritrovato, dei Canti Orfici, per ovvi motivi: la mostra venne inaugurata dopo la sua consegna a Soffici e Papini. Malgrado il poeta fosse molto risentito con il pittore per lo smarrimento della prima versione della sua opera, volle ugualmente inserire la poesia in questione nella versione dei Canti pubblicata nel 1914, probabilmente nella speranza di mantenere vivi i contatti con l’ambiente fiorentino che gravitava intorno al «Lacerba» e che era solito ritrovarsi al caffé Paszkowski (saltuariamente frequentato anche da Dino). La scelta di collocare la lirica dopo Viaggio a Montevideo potrebbe essere dovuta al fatto che nella Fantasia vi sono reminiscenze del suo viaggio in America.

Nella lirica in questione il primo verso, quel “zig zag anatomico” è riferibile a quadro di Soffici, ma nell’incalzare successivo dei versi il lettore può cogliere un aspetto fondamentale: il ritmo, che il poeta è riuscito a cogliere nel quadro di ispirazione futurista e che poi è riuscito a esprimere in maniera così mirabile nella musicalità dei suoi versi. Per questo la poesia in questione, pur nella sua brevità, è uno dei migliori esempi di ekfrasis (poesia che descrive l’arte) nella poesia italiana del ‘900.