La mano del poeta

Che cosa vuoi, invalido perpetuo,
Con quel pugno che batte sempre sul mio petto,
Despota inguaribile della mia casa,
Distruttore di tranquillità? Che cosa vuoi
Spirito oscuro inquieto: dove devo correre,
Che cosa debbo cogliere, per avere
Una piccola tregua dalle tue grida dolenti?

È una stella che vuoi? L’appassionata breve scintilla
Prodotta dal contatto con un altro corpo?
Ma dopo fai ancora più male. O è il potere?
Spezzare il guinzaglio del limite, balzare
Come un segugio sul nemico? Ma non c’è forza
Che possa annientare il destino che tu combatti. O vuoi fuggire
Nelle prospettive di sogno della velocità e delle carte geografiche?

Tu non ascolti mai, muto del disinganno
Il tuo orecchio distratto. Ma guarda la mia mano,
L’unica armata che possiedo per imporre le tue pretese
Alla terra ostile alla vita: cinque dita pallide e deboli,
Armoniose, la cui più grande impresa
È di tracciare righe come queste per la pagina:
Ben poco aiuto sanno dare al tuo assedio!

The writer’s Hand

What is your want, perpetual invalid
whose fist is always beating on my breast’s
Bone wall, incurable dictator of my house
And broker of its peace? What is your will,
Obscure uneasy spirit: where must I run,
What must I seize, to win
A brief respite from your repining cries?

Is it a star, the passionate short spark
Produced by friction with another flash?
You ache more darkly after. Is it power:
To snap restriction’s leash, to leap
Like bloodhounds on the enemy? There is no grip
Can crush the fate you fight. Or is to escape
Into the dram-perspectives maps and speed create?

You never listen, disillusion’s dumb
To your unheeding ear. But see my hand,
The only army to enforce your claim
Uppon life’s hostile land: five pale, effete
Aestetic-looking fingers, whose chief feat
Is to trace lines like these across a page:
What small relief can they bring to your siege!

 

da: La mano del poeta, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 1982, pp. 74-75, traduzione di Franco Buffoni, pubblicata per la prima volta in: Poems 1937-1942, (sezione IV).

Precocissimo scrittore (a sedici anni aveva già pubblicato le sue prime poesie e un romanzo), David Gascoyne era nato nel 1916 a Harrow (cittadina nei pressi di Londra). Negli anni ’30, poco più che adolescente, cominciò a frequentare Parigi, città a cui fu molto legato e che ebbe un importanza cruciale nel suo percorso intellettuale ed esistenziale (giustamente è considerato il più francese dei poeti inglesi). La prima raccolta di poesie di David Gascoyne Roman Balcony, uscì nel 1932, opera di un adolescente ancora intatto da influenze letterarie e filosofiche straordinariamente dotato di immaginazione, passione e senso musicale. Scrive Francesca Romana Paci in Per David Gascoyne (in: Op. cit. p. 14): «La ricerca della verità diventa insieme l’obiettivo e l’essenza della poesia di Gascoyne nella sua seconda raccolta Man’s life is this meat del 1936. Gascoyne, pur non essendo eccessivamente esplicativo, afferma chiaramente: “Poetry is not verse, it is not rhetoric, it is not an epigrammatic way to say something that can be stated in prose, or is it argument or reportage… What I call poetry is not understood in England… the tradition of modern English poetry is really something quite different from the tradition of Holderliln, Rimbaud, Rilke, Lorca, Jouve. – I belong to Europe before I belong to England”. In quello stesso anno, nel 1936, venne organizzata la International Surrealist Exhibition e, in parallelo a questa manifestazione, Gascoyne pubblicò il saggio A Short Survey of surrealism, e la traduzione, sempre ad opera di Gascoyne del manifesto di Breton What is surrealism e di alcune poesie di Benjamin Perec. La mostra fu un grande successo di pubblico, anche se suscitò molte polemiche. Come giustamente fa notare Francesca Romana Paci, «In realtà i rapporti di Gascoyne con il surrealismo sono multiformi e articolati e dimostrano che l’adesione al movimento è avvenuta senza intaccare la libertà e le unicità della sua poesia (..) L’aspetto della consapevolezza, in ogni caso, è fondamentale in Gascoyne, sia che si tratti di consapevolezza della propria posizione nella storia e nella storia della letteratura inglese e europea, sia che si tratti della consapevolezza del proprio atto creativo e dei suoi modi (il poeta assiste e dirige se stesso che scrive la poesia)» . A partire dal 1938 e con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, lo stile e le istanze della sua poesia si mossero verso un neoromanticismo di ispirazione religiosa, più consono alle tragedie legate al conflitto bellico, alle distruzioni e alla persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti (temi ricorrenti nei suoi versi di questi anni).

Nel dopoguerra si trasferì a Parigi, dove visse fino agli anni ’60. Anche se non fu una figura di primo piano sulla scena letteraria inglese venne gradualmente riscoperto e apprezzato con il passare degli anni. Quando nel 1965 uscirono i Collected poems non era previsto che sarebbero stati anche un successo editoriale di vendite e che (ancora più significativo) incontrassero soprattutto il favore di un pubblico di giovani, in un momento della cultura giovanile inglese estremamente vivido di possibilità e avido di autenticità sensuale. Tra i poeti della generazione del dopoguerra, fu amico di Dylan Thomas, che ai surrealisti, (tramite Gascoyne che fu loro amico e patrocinatore in Inghilterra), si ispirò per la sua scrittura intensamente visionaria. La dichiarazione di poetica de La mano del poeta ricorda quella di Mark Strand a cui abbiamo dedicato un precedente post. Come in quel caso, anche qui la poesia assume i contorni di una presenza della quale il poeta non può a liberarsi.