Alla poesia

Vieni di meno ogni volta,
scappi da me
oppure stiamo entrando nel tuo silenzio,
pietraia, luce
e abbiamo già così poco da dirci?
Ma quel poco
Lo diremo mai?
E quel poco, cos’è?
il cibo degli angeli?
Ciò che manca al sole?
La morte?
E tu, non dire nulla. Ogni parola
dalla tua bocca è troppo bella.
Non posso più resisterle,
e anche se tutto il mio essere vuole mangiarla,
è di quella fame che vivo ancora. Diedi
il nulla che sono abituato a vedere
nel pallido bagliore della siccità,
sulla brace del desiderio, lì
dove inizia il mare amaro che adoro.
Diedi la sua miscela con tutto ciò di cio di cui ho goduto.
La memoria
custodisce interi treni, accesi,
fischiettando nel buio. Non mi servono.
Ieri mattina, una candela a mezzogiorno
era più simile a me: in essa scrivo
lettere per l’anniversario
della mia espulsione dal testo che ora guardo,
incomprensibile. Tu eri come mia madre, e allora?
Tu, che ora vieni, come l’alba,
piena di lacrime? Ma che importa
tempio! Nascere è non poter entrare in te.
Lascia che ti veda dalla parte della storia,
che è anche alla ricerca di un paradiso,
perché il tuo nome è giustizia, notte
di quel bambino.
Cosa succede ora che i musicisti
Hanno smesso di suonare quel terribile danzón?
La mia vita torna a essere il banco di sabbia d’ossa
da dove sono uscito dal libro, sigillato. E tu,
vuoi essere mia figlia?
E tu, sarai la mia patria che non finirò di vedere?
Dirai quello che hai detto quella notte,
quando la fattoria cominciò ad essere il paradiso
entrando nel futuro degli aranceti,
sotto le risate delle stelle?
Il poco, è già un tesoro?
quel poco che manca, è già immenso?
Espulso così a lungo dal tuo ventre
pesa appena un uccello nel silenzio.
Dammi la tua mano. Aiutami ad arrivare.

A la poesía

¿Vienes menos cada vez,
huyes de mí,
o es que estamos entrando en tu silencio
¿el pedregal, la luz
y ya tenemos poco que decirnos?
Pero ese poco,
¿lo diremos nunca?
pero ese poco, ¿qué es?
¿Será el alimento de los ángeles,
lo que le falta al sol,
la muerte?
No digas nada tú. Cada palabra
de tu boca es demasiado hermosa.
No puedo resistirla ya,
aunque todo mi ser quiere comerla,
y de esa hambre vivo aún. Dí
la nada que estoy acostumbrado a ver
en el pálido fulgor de la sequía,
en la brasa del deseo, allí
donde la amarga mar que adoro empieza.
Dí su mezcla con todo, en que he gozado.
La memoria
guarda trenes enteros, encendidos,
silbando por lo oscuro. No me sirven.
Mañana del ayer, una candela al mediodía
se me parece más: en ella escribo
letras para el aniversario
de mi expulsión del texto que ahora miro,
incomprensible. ¿Tú eras mi madre, entonces?
¿Tú, que ahora vienes, como el alba,
llena de lágrimas? ¡Oh materia,
templo! Haber nacido es no poder entrar en ti.
Déjame verte por el lado de la historia,
que busca también un paraíso,
pues tu nombre es justicia, noche
de aquel niño.
¿Qué está pasando ahora que los músicos
acabaron de tocar aquel danzón terrible?
Mi vida vuelve a ser el arenal de hueso
donde salí del libro, ay, sellado. ¿Y tú,
serás mi hija?
¿Y tú, serás mi patria que no terminaré de ver?
¿Dirás lo que dijiste aquella noche,
cuando la finca empezaba a ser el paraíso
entrando en el futuro de los naranjales,
bajo la risa de las estrellas?
Lo poco, ¿es ya el tesoro?
Lo poco que nos falta, ¿es ya lo inmenso?
Tanto tiempo expulsado de tu vientre
apenas pesa como un ave en el silencio.
Dame tu mano. Ayúdame a llegar.

 

Amico fraterno di Eliseo Diego, Cintio Vitier, nel prologo al suo Ese sol del mundo moral: para una historia de la eticidad cubana egli stesso si è definito “Aspirante a vita a diventare poeta e cristiano”. Intellettuale cattolico, ha dedicato la sua vita alla poesia, come testimoniano i titoli, i premi e le gratificazioni, tra cui Il premio nazionale di poesia cubana del 1989. Nella sua lunga attività Vitier ha pubblicato  poesia, saggistica e prosa e scritto alcuni testi cardine sulla letteratura cubana, inclusa la sua antologia del 1948 sul gruppo di «Orígenes», Diez poetas cubanos: 1937-1947 e il suo celebre studio Lo cubano en la poesia, del 1958.

Figlio del saggista, educatore e critico letterario Medardo Vitier, Cintio nacque a Key West (Florida) nel 1921. La famiglia tornò presto a Cuba, nella provincia di Matanzas, dove Vitier crebbe e frequentò una scuola fondata dal padre. Dall’infanzia mostrò interesse verso la letteratura e fu un lettore vorace. Lo stesso Vitier riconobbe l’importanza nella sua formazione della biblioteca del padre, che poteva vantare un’ampia collezione di scrittori cubani e ispano-americani, di classici spagnoli e alcuni libri inglesi.

Quando Vitier aveva quindici anni, suo padre fu nominato segretario dell’educazione nell’amministrazione del presidente Carlos Mendieta e così la famiglia si trasferì all’Avana, dove rimase per tutta la vita. Qui frequentò la scuola La luz, dove conobbe Eliseo Diego. A questi anni risalgono le prime poesie, confluite nel libro del 1938 Poemas e nel più noto Luz, ya sueño, sempre del 1938. In questi anni il poeta cubano conobbe Juan Ramon Jimenez nel corso del suo soggiorno cubano (l’influenza del poeta spagnolo, che scrisse anche una premessa a Luz, ya sueño fu sempre riconosciuta da parte dell’omologo cubano). In Luz, ya sueño sono visibili, secondo la critica cubana, quei segni di uno stile personale peculiare, definito “la metafisica del concreto”.

Nella capitale dell’isola Cintio si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza e nel 1947 terminò il dottorato in legge, anche se non esercitò mai alcuna professione legata a questa laurea. In questi anni conobbe e sposò la poetessa Fina García Marruz, anche lei collaboratrice di «Orígenes» (nonché sorella della moglie di Eliseo Diego) e cominciò a insegnare il francese (lingua dalla quale tradusse prosa e poesia) nella Escula para maestros a L’Havana (cosa che continuò a fare fino al 1961). Come gli altri membri del gruppo, anche Cintio in qualità di poeta era più interessato all’espressione lirica che alle istanze sociali. Il loro distacco dal contesto sociale è collegato alla ricerca dell’identità cubana, relazionata però a una ricerca metafisica e universale.

La multiforme poesia di Vitier è connessa con una varietà di argomenti che vanno dal tempo nella sua dimensione esistenziale alla natura della poesia, dagli eventi quotidiani nella loro manifestazione poetica all’identità cubana. Questa prima fase della sua poesia è considerata “lirica ed ermetica”. Vitier stesso l’ha definita “Coscienza della poesia”. La pubblicazione della raccolta poetica Enemigo Rumor di Lezama Lima, nel 1941, aprì nuovi cammini ai giovani seguaci del maestro, soprattutto al ventenne Cintio.

L’estetica vitieriana parte da Lezama Lima, per il quale, come afferma Julio Cortazar, «No importa los caracteres, le importa il misterio total del ser umano, le existencia de una medula universal que rige las series y las exepciones»1.(Julio Cortazar, Para llegar a Lezama Lima, in: La vuelta al dia en ochenta mundos, Mexico, 1967 Cintio Vitier e le liturgie del mistero, di Giuliano Soria, prefazione a: Cintio Vitier, Fogli dispersi, Bulzoni, Roma, 1990, p. 9.) Per Lezama Lima tutto si muove intorno alla “poesia como clave del enigma”; Da lui «surgiò el anhelo de un proyecto teleologico que canalizara las fuerzas creadoras de la isla» (Ricardo H. Herrera, Cintio Vitier: un destino matinal, introduzione a: Palabra a la aridez, Buenos Aires 1989, p. 12.).

Vitier e Lezama si ritrovano sul territorio teleologico e di un vero e proprio “intento de una teologia”, come riconosce Vitier stesso in un suo articolo del 1970.

Se le radici prossime dell’estetica vitieriana nascono da Lezama Lima, le radici lontane affondano nei maestri europei, soprattutto francesi. L’idea del poeta come decifratore risale direttamente al simbolismo francese e non a caso Vitier, nel saggio La rebeldion de la poesia esalta Baudelaire, perché “concepisce in modo consapevole ed esclusivo la funzione poetica, per la prima volta nella sua storia, come conoscenza sistematica dei misteri dell’anima”. In quelle pagine Vitier è affascinato da Rimbaud dal quale si sente attratto, in modo particolare, per le evidenti contiguità teoriche e visionarie contenute nella celebre lettera a Paul Demeny, ove si avvalora più che mai al funzione del poeta “voyant”, lettera che Vitier definisce “logica mistica de la poesia”.

La “palabra” è il nucleo di tutta la poetica, è quella che rivela il mondo che sta dietro o che sta sopra, è la voce della funzione anagogica. Qui la “palabra” ha una evidente funzione demiurgica, che richiama ancora una volta Lezama Lima, il suo neoplatonismo e il senso neopitagorico della scrittura; Lezama Lima vede nella “palabra” una specie di “supra verba”.

Come nota Giuliano Soria, «L’ossessione della “palabra” come essenza della poesia, della comunicazione, illumina tutta la mappa della mistica estetica vitieriana: è l’archetipo chiave di tutta la liturgia gnoseologica da cui si dipanano gli altri motivi-simbolo, gli emblemi sacramentali, che sono: “la union nupcial” (archetipo della comunione e della fruizione del Verbo), il “deseo” (che è metafora dell’ascesi), il “silencio” (che è mistica condizione dell’auscultazione), la “nada” (che è l’impossibilità della comunione, l’aridità dell’enigma irrisolto), “el arco” (emblema della tensione ascetica della poesia), la “memoria creadora” (che è la funzione strutturante del tempo e dell’esistenza). L’uomo è perduto in questo mondo di simboli ove tutto è da decifrare; la sua condizione fondamentale è la “extraneza de estar”; egli è sommerso in “lo disconocido”, nell’occulto del mistero» (Cintio Vitier, Op. cit., Bulzoni, Roma, 1990, p. 18).

Tra i libri della sua prima fase, vi è la raccolta Sedienta cita (in it: “appuntamento triste”) del 1943, influenzato dal poeta peruviano Cesar Vallejo, che viene considerata più complessa del suo precedente Luz, ya sueño. 

Nella successiva silloge Extrañeza de estar, del 1944, Vitier riflette su “la stranezza dell’esistere” raggiungendo un grado maggiore di complessità. Temi che approfondirà in Capricho y homenaje del 1947 e nel successivo El hogar y el olvido del 1949 nel quale, secondo il critico Enildo Garcia, «Il poeta si prefigge di scoprire il regno dello spirito, tentando di raggiungere con un viaggio attraverso la fede “Il luogo impossibile dell’anima”». I successivi Substancia del 1951, e Conjeturas del 1951 hanno a che fare con il problema esistenziale dell’assoluto, ovvero l’impossibilità di afferrare l’assoluto in quanto tale. Chiude questa prima fase della sua creazione poetica Canto llano, una raccolta di cinquanta poesie che si rifanno ai Salmi, al Nuovo testamento e a Tommaso d’Aquino nei quali l’autore ritorna a schemi metrici chiusi. Nel 1958 pubblicò il saggio Lo cubano ne la poesia, una brillante analisi della poesia cubana in relazione alla “cubanità”.