Il canto della fiamma
Chi mi tocca
solleva grida di terrore
ma io non lo so
se sono calda o fredda
perché non sono mai ferma nello stesso posto
e quello che era un attimo prima già non c’è più
per me bruciare è il continuo ripetersi dell’addiocombatto contro l’oscurità
ma è solo nell’oscurità
che potrò fare ritornociò che di me teme l’essere umano
è che per una ragione che io stesso ignoro
adoro avvicinarmi agli alberi alla carta alla sua carne
sfiorarli col mio corpo accarezzarli inghiottirli per intero
e sono io stessa poi
a morire sulle loro ceneri
perché non tradisco il principio di non possedere
sono le grida sollevate da chi mi tocca
a rivelarmi
quanto l’amicizia che gli porto
sia il cuore del loro stupore.1960-1967
traduzione di Alessandro Clementi degli Albizi, tratta da: Poeti giapponesi, Einaudi, Torino 2020, p. 47.
Figura chiave della poesia giapponese del dopoguerra, noto anche all’estero grazie alle traduzioni, Ōoka Makoto era nato nel 1931 in una famiglia di letterati (i suoi genitori erano insegnanti e anche il padre fu poeta) a MIshima, nella provincia di Shizuoka, alle pendici del monte Fuji. Si laurea a Tokyo in letteratura giapponese, ma la sua passione fu la letteratura e la poesia francese (venne folgorato a diciannove anni dalla lettura di Paul Éluard a cui dedicò in seguito un importante saggio). Oltre che poeta, fu critico di arte e letteratura e i suoi saggi furono importanti tanto quanto le sue poesie per lo sviluppo e il dibattito della poesia contemporanea in Giappone. Nel 1953 cominciò a pubblicare alcune sue poesie e l’anno successivo fondò insieme al poeta Tanikawa Shuntarō (il quale nel 1952 con la sua silloge Una solitudine di due miliardi di anni luce aveva aperto la strada di una nouvelle vague) la rivista «Kai», attorno alla quale si raccoglieranno alcuni tra i poeti più brillanti della generazione del dopoguerra. Ōoka Makoto formerà con l’amico Tanikawa un formidabile e duraturo sodalizio, prendendo parte con lui a numerose manifestazioni pubbliche, dibattiti e sviluppando un fitto e fecondo dialogo critico sulla poesia. Scrive Maria Teresa Orsi «Il messaggio di questa nouvelle vague, in sostanza, si fondava su una diversa coscienza e sensibilità, insistendo sull’importanza di instaurare i “diritti individuali del poeta” attraverso il linguaggio» (Op. cit.. p. VII). Ōoka Makoto, nella sua prima raccolta Kioku to genzai (in it. “Memoria e presente”), che risale al 1956 è avvertibile un influsso del surrealismo, che però è filtrato attraverso una attenta coscienza critica (Makoto nei suoi saggi espresse un certo scetticismo nei confronti della scrittura automatica). Infatti nella sua migliore produzione in versi le suggestioni dell’avanguardia dialogano con la tradizione classica giapponese.
Sia nella sua creazione letteraria che nella sua riflessione critica, il poeta giapponese «fu un appassionato sostenitore di un linguaggio poetico che andasse oltre la semplice comunicazione e che fosse espressione della parte più profonda dell’animo umano» (Maria Teresa Orsi, Op. cit., p. IX). Lui stesso nel 2001 dichiarò:
«Le parole che noi adoperiamo sono la punta di un iceberg. E cos’è la parte sommersa sotto la superficie del mare? Questo non è altro che il cuore di chi ha creato le parole, e allo stesso modo è anche il cuore degli altri, che viene trasmesso e condiviso nella parte sommersa sotto la superficie del mare delle parole»
(tratta da: Shi kotoba ningen, in it. “poesia, parola, umanità) Tokyo 2001, p. 28, da: op. cit., p. IX
Lo stesso Ōoka Makoto fu promotore di una forma poetica, il renshi, (o poesia a catena) nata dalla collaborazione tra poeti, secondo i principi che lui stesso aveva enucleato nel suo saggio del 1978 Utage to koshin (in it: “Festa e solitudine”) nel quale individua la fonte della poesia come di qualunque altro processo di creazione artistica la compresenza di un atto collettivo (“riunirsi per fare assieme”) e della capacità di raggiungere una solitudine interiore.
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