Omaggio a Magritte
Dal cielo un cavaliere
galoppa verso i boschi,
una amazzone
attraversa foreste
che l’attraversano.
La chiave dei sogni
è la chiave dei campi è
il ricordo d’ogni viaggio è
i territori metafisici.Spuntano dal picciolo di una foglia
seriali stratagemmi per estrarre spaventi,
copie fedeli,
un farsi appresso al candore
e al bagnato
laborioso timore,come un leone che tra allori e trombe vola,
un macigno innalza in volo il suo castello,
una mela invade la stanza di lettura;
quello che la memoria nostra tantalizza
ricopre i cieli di tormenta,
abbatte misteriose barricate
con una luce tutta discernimento.
Gli occhi fertili
creano scie di giorni,
crepuscoli che filtrano
dentro il mondo visibile
padiglioni
di spazio frastornato.Nubi Magritte saranno veloci per sempre.
Homenaje a Magritte
Desde el cielo un jinete
galopa hacia los bosques,
una amazona
cruza florestas
que la cruzan.
La llave del los sueños
es la llave de los campos es
los territorios metafisicos.Desde el pecíolo de una hoja salen
seriadas estratagemas para sorterar espantos,
símiles fieles,
aproximaciones del candor
y del mojado,
laborioso miedo,como un león que vuela entre laureles y trompetas,
un peñasco levanta en vuelo su castillo,
una manzana invade el cuarto de lectura,lo que en nuestra memoria tantaliza
cubre los cielos de tormenta,
derrumba barricadas misteriosas
con una luz toda discernimiento.
Los ojos fértiles
crean proprocesionales días,
atardeceres que filtran
en el mundo visible
pabellones
de espacio desfasado.Nubes Magritte serán veloces para siempre.
in: Pellegrino in ascolto, traduzione di Pietro Taravacci, Bompiani, Milano 2020. pp. 132-134.
L’omaggio all’artista belga è di Ida Vitale, poetessa nata a Montevideo nel 1923, ed è apparso nella raccolta del 1980 Jardín de sílice (in it.: “Giardino di silice”), durante gli anni dell’esilio in Messico (1974-1985). Nel 1974 la Vitale, dovette lasciare l’Uruguay a seguito del colpo di stato del giugno del 1973 col quale venne istaurata una dittatura, al potere fino al 1984. Il soggiorno messicano fu una tappa fondamentale dell’esperienza umana, intellettuale e artistica della poetessa di Montevideo. Fu in questi anni che ebbe modo di entrare in contatto con Octavio Paz e di collaborare con la rivista Vuelta, una delle più importanti iniziative editoriali in tutta l’area ispano-americana, e di frequentare il circolo dei poeti messicani che vi collaboravano (tra cui vi era anche José Emilio Pacheco e Antonio Montes de Oca). L’esilio fu l’occasione per tracciare un bilancio di quel percorso umano, esistenziale e artistico che la poetessa aveva cominciato a Montevideo nel 1949 con la sua prima raccolta di poesia La luz de esta memoria. “Adesso / s’ha da pagare il consumarsi del tempo / senza posa, / finito già l’impulso / d’andare per un giardino di silice. / Lo stesso solco ariamo un’altra volta / per fare fertile l’avversità, / e la lettera / il silenzio / vanno entrando cruenti” scrive Ida Vitale nell’eloquente e intensa lirica che dà il titolo alla raccolta. Una delle tre sezioni, quella che contiene la summenzionata lirica, è intitolata Iconos, e fa riferimento una tematica vagamente meta-artistica che emerge in alcuni componimenti che ne fanno parte. Scavare oltre e dietro lo sguardo (“Verso la prospettiva, / la superficie diventa trasparente, / disegno smaltato che diletta l’occhio, / tavola di tentazioni /da dove l’occhio corre oltre, / alla fonte invisibile / del veduto” scrive la Vitale in Prospettiva) sembra essere la premessa della summenzionata lirica in cui l’autrice tenta di decifrare l’enigma che avvolge le immagini create dal grande pittore surrealista, particolarmente amato dai poeti (in precedenza abbiamo citato il componimento di Murilo Mendes L’uovo nel quale l’autore faceva riferimento alla tela di Magritte La vacanza di Hegel). La poetessa di Montevideo fa riferimento, nei primi versi, a La firma in bianco, quadro del 1965 conservato a Washington, a proposito del quale lo stesso pittore aveva dichiarato: “Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo nel bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è. Nella Firma in bianco, la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta. Tuttavia il nostro pensiero comprende tutti i due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero” (da: Magritte, Skira, 2011 Milano, p. 168). Nel corso del componimento l’autrice cita altri quadri dell’artista belga divenuti iconici, ne possiamo facilmente scorgere almeno due: il castello dei Pirenei (“un macigno innalza in volo il suo castello”) e La camera d’ascolto (“una mela invade la stanza di lettura”). Ma il tema centrale della lirica è già tutto enucleato nei primi versi, quelli relativi a Firma in bianco, quadro nel quale il pittore gioca con l’ambiguità della rappresentazione bidimensionale, ovvero con le false corrispondenze tra visione e realtà, con il paradosso della convenzionalità dell’immagine che la memoria mette in scena, nella quale il visibile e l’invisibile sono gemelli che possono scambiarsi le sembianze (così come la cavallerizza del quadro “attraversa le foreste / che l’attraversano). Il verbo “tantalizzare” è un neologismo che fa riferimento al noto supplizio di Tantalo (personaggio del mito costretto costretto dagli a bramare acqua e cibo che non poteva avere) è sembra riferirsi all’impossibilità di riconciliare la memoria con la realtà nei confini di una visione unitaria. Corrispondenze tra mondo della memoria e i sogni sono la chiave per entrare in quei “territori metafisici” che confluiscono nel mondo visibile ma solo in forma di paradosso, peraltro pieno di insidie (il riferimento summenzionato al supplizio di Tantalo), proprio come nelle immagini create da Magritte. Quello che la poetessa in questi versi propone non è una celebrazione, bensì è un dialogo concettuale serrato con la creazione artistica del grande pittore belga e per questo rappresenta uno dei migliori esempi di ecfrasi nella poesia ispanoamericana.
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