I morti
I morti sono brutti, e hanno anche un’aria
querula,
un po’
lamentosa.
Sono anche antipatici.
Hanno un’aria lamentosa, come se
volessero
ispirare pietà.
Hanno un’aria artificiale,
e inoltre,
goffa, sembra che ci prendano
in giro. Hanno inoltre un’aria
malevola,
si capisce che non gliene importa più niente,
di noi. E soprattutto quando sono naturali,
non sono composti, come li componiamo noi,
di solito, quando sono
come sono veramente, hanno proprio
un’aria assente,
gli parli e non rispondono,
hanno proprio un’aria assente.
E poi restano lì, con quella faccia
da scemi, perché restano lì,
con quella faccia da scemi.
Hanno qualcosa di osceno, come il
coito,
di quelle cose che non si vedono mai,
e quando si vedono,
attirano l’attenzione.
Non i morti per vecchiaia, ma quelli morti
mentre facevano le faccende, mentre stavano
andando per fatti loro,
e morti improvvisamente come se continuassero a
fare
quelle cose che stavano facendo, ma con
quell’aria
losca, malevola,
falsa, che assumono
quando smettono di vivere.
Ne vedremo molti di questi morti in questo
periodo
di questi traditori,
che mentre stavano facendo una cosa, magari
ti hanno promesso una cosa, e improvvisamente
se ne vanno, muoiono,
uccisi da qualcuno. Per questo la pietà
li avvolge in bende, per non farli
sembrare
quello che sono.
tratta da Polvere, Empiria, Roma 1999 ristampata in: Pericolo. Poesie 1975-2001. Manni, San Cesario di Lecce 2004, pp. 31-32.
Autore di questa poesia è Carlo Bordini, docente universitario e poeta scomparso il 10 novembre del 2020, tradotto anche all’estero (specialmente in Francia, ma anche in Spagna) con un passato di militante trotzkista che non ha mai rinnegato né rimosso. Tuttavia le sue poesie non sono legate alla contingenza della passione politica. Semmai appaiono come una riflessione che proietta in una dimensione più vasta quelle istanze che lo avevano spinto verso la militanza. I suoi versi sono caratterizzati da un tono comico beffardo e da un dettato trasparente. Sono affilati, mai banali e centrano sempre il loro bersaglio. In controluce vi si scorge facilmente il riflesso dell’amarezza legata alla scelta di militare sotto le insegne di un leader sconfitto. Coerentemente, la scelta di assumere la sconfitta come orizzonte e destino ineluttabile è alle fondamenta della sua poetica.
Nel necrologio apparso su «Repubblica» del 10 novembre ha scritto Filippo La porta “Il suo è un pensiero analogico, che affidandosi in modo quasi superstizioso al ritmo e al suono – come sempre fa la poesia – , riesce a dire delle verità che in altri contesti sarebbero retoriche: sul consumismo, sulla politica, sui rapporti tra i sessi, sull’amore, sulla bontà, sull’io schizofrenico…Il suo canzoniere (..) – si muove in una irrisolta, felice dialettica di opposti: la Storia come utopia possibile e come mattatoio (“vivevo nella parte di dietro della storia”), la Vita come meccanismo feroce, come un mangia-mangia cosmico, e anche come sua sospensione, come irruzione della grazia nelle cose (..) una sventata, giocosa sperimentazione (il collage e il détournement, la decontestualizzazione di oggetti quotidiani) e una insuperabile allergia per la aridità delle neoavanguardie, refrattarietà a un eccesso di formalizzazione e incessante manipolazione del verso (centrale nella sua poesia è la grafica, l’uso improprio di maiuscole e minuscole, la punteggiatura straniante…), un dettato prosastico, colloquiale e improvvise accensioni liriche, ricerca dell’amore e certezza di non esserne capace, teatralizzazione ludica e visione tragico-apocalittica.”
La poesia che ho scelto, a pochi mesi dalla scomparsa dell’autore, assume un tono beffardo, che però non sarebbe spiaciuto al medesimo, dal momento che l’autoironia e il sarcasmo sono sempre state uno dei punti di forza della sua scrittura in versi e in prosa. “Una volta avevo scritto / una poesia che diceva / “sono pervaso da una / breve tachicardia / non sarò un grande poeta ma / in compenso / sono un forte fumatore”” – ha scritto Bordini nel poema Polvere (che è anche uno dei suoi migliori scritti). Le parentele e le affinità con lo sperimentalismo degli anni ’60 (Elio Pagliarani in primo luogo) è abbastanza scoperto. La capacità di servirsi di codici, espressioni e modelli provenienti dalle più svariate sfere del linguaggio (versi di Apollinaire, Pagliarani accanto a citazioni letterali di un regolamento universitario, di una lettera dell’Archivio di Stato di Milano giustapposti a espressioni tratte dall’etichetta di una crema depilatoria) è parte di una poetica che si ispira alla pop art. A proposito della sua poetica, l’autore stesso ha dichiarato “Quando parlo di iperverità intendo dire che l’arte, ogni forma d’arte, giunge, quando funziona, a una verità più profonda di quella che una persona conosce o crede di conoscere nella sua vita di tutti i giorni, sia a livello razionale che a livello emotivo. Per questo, ad esempio, anche se taluni mettono molto in rilievo gli aspetti sociali della mia poesia, io nutro una certe diffidenza nei confronti della poesia impegnata. La poesia impegnata politicamente rischia di essere un elenco di luoghi comuni.” Carlo Bordini è sempre stato un outsider assoluto, non ha mai fatto parte di gruppi, scuole o correnti (la sua vita accademica non aveva nessun rapporto con la scrittura in versi e in prosa). La sua scrittura è stata una costante, onesta e discreta ricerca di questa “iperverità”, proprio per questo sempre più necessaria per comprendere il mondo in cui viviamo.
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