MAGRITTE

La foglia contiene già in sé l’albero
il profilo dell’uomo contiene la sua serata
La nuvola contiene in sé l’orizzonte
e la memoria è una ferita
sulla tempia di una statua olimpica.
La mela si erge sopra un collo inesistente,
testa vegetale
e il titolo è sempre necessario,
sempre necessario.
Mentre la nuvola entra nella nostra intimità,
e il mondo vegetale si mischia con quello animale,
i vestiti si mischiano col corpo
le funzioni col mezzo (l’uccello col cielo)
una mela ascolta invadente
e noi, con le nostre tre lune,
guardiamo i pani sfilare nel cielo,
e dalla finestra, inquietanti,
ci guardano scomposti
cinquanta dei nostri ii
orrenda
vendemmia di morte.
Mentre un uccello di pietra
vola
in un cielo dipinto
delle nostre facce
addio sole,
triste sul vestito nero.

Carlo Bordini, I costruttori di vulcani, Luca Sossella, Bologna, 2010.

Questo omaggio al grande pittore belga da parte di Carlo Bordini è l’ennesima testimonianza di quanto René Magritte sia il pittore del novecento più amato dai poeti. Anche Ida Vitale con il suo Omaggio a Magritte e Murillo Mendes avevano reso il loro tributo al maestro di Bruxelles. Questa convergenza di poeti provenienti da mondi così lontani (anche se a dire il vero vi è un singolare tratto che li accomuna: un legame forte con l’Italia, Ida Vitale per via delle sue origini, Mendes per via di un lungo soggiorno a Roma) è un elemento che vale la pena approfondire. Il surrealismo è stato un movimento nel quale poesia e pittura hanno trovato una convergenza e una consonanza di temi e di stimoli e tuttavia, tra gli artisti legati al movimento surrealista, il pittore belga occupa uno spazio particolare nell’immaginario dei poeti novecenteschi, che vi scorgono spesso delle consonanze con la propria poetica che vanno al di là del fatto puramente estetico. É questo anche il caso di Carlo Bordini, che costruisce il citato componimento sulla descrizione di alcuni quadri del maestro di Bruxelles. Il poeta romano però non si limita a elencarli e descriverli, ma entra dentro, scava nel mondo di Magritte alla ricerca di possibili radici comuni con la propria poetica, più propriamente con il proprio sarcasmo autoironico (e autodistruttivo). Quando nel 1927 il pittore tenne la sua prima mostra importante mostra personale alla galleria “Le centaure”, ricevette recensioni critiche per lo più negative, tra le quali spicca quella di Flouquet il quale scrisse: «la decadenza ha anche la sua poesia. Ma è una poesia regressiva, parassitaria e distruttiva, non liberando altro che il proprio desiderio di godimento sempre più esasperato, più deformante, più inumano. Ora la pittura attuale di Magritte, col suo bisogno di poesia ingannevole, fuori della natura, è una testimonianza di tali propositi» (citazione tratta da: Sileno Salvagnini, Magritte, in: «Art e dossier» n. 342, 2017, pp. 14-15). Questa affermazione del critico, che precedette di un decennio la mostra Fantastic Art, dada, surrealism al Museum of modern art di New York, nella quale venne consacrata la fama del pittore belga a livello mondiale, paradossalmente può trovare una interessante consonanza con quella matrice negativa, corrosiva e sarcastica che caratterizza i versi del poeta romano. L’assurdo insito nel quotidiano, nella realtà di ogni giorno è sempre stato uno dei suoi temi prediletti, che trova profonde risonanze nelle tele del maestro di Bruxelles, a proposito delle quali scriveva Georges Hugnet nel catalogo della citata mostra di New York: «i suoi quadri costituiscono una serie ininterrotta di lezioni su oggetti concreti che non richiedono un commento tecnico. La loro stupefacente realtà sembra più convincente della realtà fotografica» (Ibidem, p. 34).