Go Gauguin

Scavando nel velluto
di una sera primordiale,
angeli polinesiani
raccolgono i cocci
dei loro occhi,
grappoli di spettri
infranti sulla sabbia.
Lui ha il sangue incendiato dal fuoco
e un circo itinerante in ogni vena:
si piega a cogliere,
come fossero margherite,
tutti i sogni ingialliti
appiccicati sulle carni dorate.
Lui ha l’accento marino nella voce,
corre ad arroventarsi di gambe.
D’ovatta è fatta,
una ragazza:
cambierà presto piumaggio,
e intanto nevicano ostriche,
in regalo da Paris
(calano anche panchine, dal cielo).
Corre Gauguin,
si inoltra nello zolfo delle cose ultraterrene
per metà,
sale in alto
e mezzo corpo è parigino,
nel cielo percosso dagli occhi ferrati:
ma crolla in basso l’altra metà,
si innalzano dal suolo mani selvatiche
ad avvelenarlo di guance,
e poi l’unzione,
lo scampanellare del corpo
nelle serate acquatiche.
Caro Mondo Nuovo,
di là perdiamo tutti i dettagli civili,
ci deformiamo
come animali nelle camere emozionali
scarnificati e incorniciati
nelle caverne editoriali
di un National Geographic Magazine,
là dove ci dipingono ad acqua,
sfocherellati,
secchi e leggeri,
sulle tele,
o su fogli di carta
o nei deliri digitali,
ridotti a insipide ombre elettroniche.
Tu vai Gauguin,
seppure inerte,
ma più forte della morte.
E noi invece da dove veniamo?
Chi siamo?
E come cadremo?

da: Sundara, Edizioni Ensemble, Roma 2021.

Questa lirica dedicata al pittore francese è tratta da Sundara, la recentissima silloge di Mauro De Candia, che fa seguito a Le stanze dentro, il suo esordio poetico del 2018. Lo stesso autore, a proposito della sua ultima fatica, scrive nella postfazione: “il filo rosso che collega i vari testi dell’opera è il passo avanti ancora da compiere rispetto a una piena realizzazione, oppure il passo indietro che ci tiene lontani dalla pienezza dell’essere”. Lo stile di questo autore è ben riconoscibile, ancorato alle esperienze delle avanguardie storiche (egli stesso, nella citata Postfazione, lo descrive così: “micro-storie surreali in versi liberi, che fungono da ambasciatori metafisici per le riflessioni più varie”). Tuttavia, anche se lo stile, il modo di associare i suoni e le parole, ricorda lo zaum, la lingua transmentale inventata dai cubo-futuristi russi Aleksej Kručënych e Velemir Chlebnikov, le liriche di Mauro De Candia sono in realtà una riflessione legata al mondo contemporaneo. Sundara, (“una parola in sanscrito con funzione di attributo, che si identifica con l’idea di bellezza, armonia, meraviglia” – come spiega lo stesso autore nella citata Posfazione) è una raccolta di poesie nate e legate alle particolari circostanze nelle quali ci troviamo da febbraio del 2020, a seguito della diffusione della pandemia. Rimembrare  la fuga di Paul Gauguin negli esotici paradisi tahitiani in un momento in cui ogni spostamento materiale è precluso dalle misure di contenimento per contrastare la diffusione del virus, assume un significato particolare. Rappresenta quasi un pretesto per una riflessione sull’uomo contemporaneo alle prese con i “surrogati tecnologici” -. come le “camere emozionali” citate nella poesia, un optional degli alberghi di lusso (camere che creano ambienti diversi, che riflettono le emozioni degli ospiti e si adattano ad esse grazie a un sistema di controllo completamente configurabile nei quali l’illuminazione è integrata con i sensori, il riscaldamento, l’areazione e l’aria condizionata, le tende e i programmi software di prenotazione camere) grazie ai quali possiamo immaginare di trovarci nel surrogato di un paradiso tropicale analogo a quelli proposti da celebri riviste, come, per l’appunto, il National geographic magazine citato nella lirica, quando in realtà, come dichiara il poeta, siamo semplicemente “ridotti a insipide ombre elettroniche”. Tuttavia la fuga di Gauguin sembra prefigurare anch’essa un fallimento, seppure parziale (“per metà, / sale in alto / e mezzo corpo è parigino, / nel cielo percosso dagli occhi ferrati: / ma crolla in basso l’altra metà). Al pittore francese – sembra suggerire De Candia –  è mancato forse quel “passo avanti ancora da compiere rispetto a una piena realizzazione, oppure il passo indietro che ci tiene lontani dalla pienezza dell’essere”? Oppure con la sua fuga, Gauguin, seppure non ha raggiunto la meta, almeno ha fatto un passo verso quel traguardo? Personalmente ritengo plausibili entrambe le ipotesi. Certamente la sua prospettiva e la sua condizione era di molto migliore rispetto a quella nostra attuale, costretti come siamo ad accontentarci di surrogati di realtà.