Notte stellata

Tormento vano,
attesa vana,
il mondo è vuoto come le tue risa.
Le stelle cadono –
notte fredda e magnifica.
L’amore sorride nel sonno,
l’amore sogna l’eternità…
Paura vana, dolore vano,
il mondo è meno di niente,
scivola giù nel fondo della mano dell’amore
l’anello dell’eternità.

Buio di bosco

Nel bosco malinconico
vive un dio malato.
Nel bosco buio i fiori sono così pallidi
e gli uccelli così timorosi.
Perché il vento è pieno di bisbigli, avvertimenti
e la via oscura piena di presentimenti?
Nell’ombra posa il dio malato
e sogna malvagi sogni…

Tratte da: Poesie, a cura di Daniela Marcheschi,  Elliot (Lit edizioni), Roma 2020.

Nata nel 1892 a San Pietroburgo in una benestante famiglia finlandese, ma di ascendenza svedese, frequentò la Sankt Petri Schule, il prestigioso e antico liceo tedesco nella città natale e crebbe in un ambiente cosmopolita (studiò il francese, parlava correntemente il russo, il tedesco era la lingua della scuola, lo svedese lo parlava in casa). In quegli anni la capitale dell’Impero zarista era fu il teatro di eventi culturali e storici di importanza capitale nella storia mondiale. La scena letteraria, per quanto riguarda la poesia, in quegli anni era dominata dalla figura di Aleksandr Blok, caposcuola assoluto dei poeti simbolisti, anche se nei salotti letterari e sulle riviste si stava facendo largo una nuova generazione di poeti, gli acmeisti, (Anna Achmatova e Osip Mandelštam). Nel 1913 sulla rivista «Apollon» ad opera di Gorodeckij e Gumilëv apparve il manifesto di quello che gli autori stessi definirono “acmeismo”, un movimento che si prefiggeva di riscoprire il senso letterale delle parole, dopo anni di temperie simbolista, in cui invece le parole venivano correlate al piano simbolico e circondate da una aurea misticheggiante. Molti anni dopo l’Achmatova spiegò che nell’acmeismo la pratica precedette la teorizzazione e che in realtà il manifesto di Gumilëv discendeva dalle osservazioni tratte dalle poesie di lei e del loro amico Osip Mandel’štam (proprio nel 1913 questi pubblicò la sua prima raccolta, Pietra). Anche se quella di Edith Södergran fu un’infanzia serena nel senso di una famiglia agiata, non lo stesso si può dire degli anni degli anni dell’adolescenza: nel 1905 assistette alla “Domenica di sangue” (la manifestazione di protesta repressa nel sangue che diede l’avvio a quei moti rivoluzionari che scossero l’impero zarista). Due anni più tardi, nel 1907, a quindici anni, perse il padre. A quest’anno risalgono i primi componimenti poetici di Edith, in tedesco, in francese, in russo e in svedese. L’anno successivo si ammalò di tisi (per curarsi soggiornò diverse volte, tra il 1911 e il 1914 nel rinomato sanatorio di Davos, in Svizzera). Malgrado le difficoltà economiche in cui si trovò la famiglia dopo la scomparsa del padre, la madre, a cui la poetessa fu molto legata, sosterrà in ogni modo la scelta della figlia di dedicare la vita alla sua passione per la poesia. A partire dal 1908 optò definitivamente per lo svedese e nel 1916 pubblicò in questa lingua la raccolta d’esordio Dikter (in it: “poesie”) a Helsinki, che segnò l’inizio del modernismo in Scandinavia. A Helsinki, dove si era trasferita, si inserì nel locale ambiente artistico. La Rivoluzione d’Ottobre e la dichiarazione d’indipendenza della Finlandia del 6 dicembre 1917 cambiarono radicalmente lo status economico della famiglia, a cui il nuovo governo russo confiscò tutte le proprietà. Malgrado ciò, Edith si dedica alla poesia con sempre maggiore convinzione e nel 1918 pubblicò La lira di settembre. Questa seconda silloge divenne oggetto di un dibattito tra denigratori e sostenitori: tra le prime a prendere le sue parti fu la scrittrice Hagar Olsson, che fu una delle prime ammiratrici della sua poesia. I componimenti della Södergran, nella concisione di pochi versi, presentano scene perfettamente cesellate sotto il segno di una sensibilità decadente. In questo senso, è possibile scorgere alcune consonanze con le poesie di Anna Achmatova. Sono altresì evidenti le tracce delle appassionate letture della sua adolescenza: dai decadenti francesi (Baudelaire, Verlaine) a Rilke e Schopenhauer. Nel 1920 la poetessa, già debilitata per via della tubercolosi, fu colpita dalla spagnola. Tutte le sue restanti energie furono concentrate verso la poesia: nel 1918 era uscita la silloge L’altare di rose, a cui seguì, nel 1920, L’ombra del futuro, l’ultima che poté pubblicare in vita (morì nel 1923) a cui seguì, nel 1925, la raccolta postuma La terra che non è.

La figura della Södergran fu oggetto di culto da parte della generazione dei letterati scandinavi del dopoguerra, che videro in lei l’antesignana di quella particolare sensibilità femminile, nello stesso tempo decadente ed ecologista. Infatti la natura ha avuto un ruolo fondamentale nella sua sensibilità e nella sua poetica.