Se vorrai lasciarmi
Se vorrai lasciarmi
non dimenticare il sorriso
puoi dimenticare il cappello
i guanti il notes con gli indirizzi importanti
qualunque cosa infine – per cui dovresti tornare
tornando all’improvviso mi vedrai in lacrime
e non te ne andraise vorrai rimanere
non dimenticare il sorriso
puoi non ricordare il mio compleanno
o il luogo del nostro primo bacio
o il motivo della nostra prima lite
se tuttavia vuoi rimanere
non farlo con un sospiro
ma con un sorrisorimani.
Tratta da Halina Poświatowska, Io sono di piume e di carne, cura e traduzione dal polacco di Paolo Statuti, Edizioni Joker, novembre 2014.
Ho trovato questi splendidi versi nella raccolta di poesie di Halina Poświatowska Io sono di piume e di carne (cit) ma per me c’è tanta poesia anche nel suo Racconto per un amico (traduzione dal polacco di Vera Verdiani, Neri Pozza, ottobre 2001, 2006)
Halina Myga (Helena Myga da nubile) nacque a Częstochowa nel 1935 e morì nel 1967 all’età di trentadue anni. È stata una poetessa e scrittrice polacca, una delle figure più importanti dell’arte e della moderna letteratura polacca.
La scrittrice e critica letteraria polacca Iwona Smolka ci parla di lei in: Halina Poświatowska, a quanto pare è un essere umano (citazione da: io sono di piume e di carne) “Halina fu la poetessa dei giovani. Debuttò nel 1956 come tipica rappresentante dell’esistenzialismo. La sua breve biografia creò la leggenda di una autrice morta troppo giovane, ma che riuscì a descrivere il suo amore, l’incompiuto, l’inquietudine, il desiderio erotico, la consapevolezza della morte. A dieci anni, un’angina causata dal freddo intenso vissuto durante la guerra, le procurò un’infiammazione reumatica all’endocardio e una lesione al muscolo cardiaco. Studiò in casa perché costretta a restare a letto per lunghi periodi, e anche negli ospedali. In uno di questi luoghi, nel 1953, conobbe Adolf Poświatowski. Nacque l’amore, seguito dal matrimonio. Tre anni di passione terminati nel 1956 per la morte del suo compagno. Nel 1958 Halina Poświatowska si recò negli Stai Uniti per essere operata al cuore. Il trapianto della valvola cardiaca le permise di vivere normalmente. Iniziò gli studi, approfondì la filosofia, la logica, la storia dell’arte, sperimentò nuovi amori. Nel 1961 ritornò in Polonia per proseguire gli studi di filosofia presso l’Università Jagellonica di Cracovia. I problemi di cuore ritornarono, ebbe molte difficoltà, acuì lo sguardo sul mondo e su sé stessa. Morì dopo un’altra operazione nel 1967 (…). Halina scrive sempre anche nei momenti più difficili della malattia. Continua a rievocare l’amato, scomparso per sempre e la sua lirica d’amore diventa sempre più esplicita. Descrivendo il corpo femminile, le mani, le gambe, le unghie, i capelli, le labbra (…) la poetessa elogia la vita che, fragile, è in continuo pericolo. Il suo mondo cambia, quanto più esso è limitato nello spazio e nel tempo, tanto più intensamente è vissuto. Quanto più sono ridotte le sensazioni provenienti dell’esterno, tanto più s’immerge in se stessa, tanto più sincera e crudele è l’analisi dei giorni ancora rimasti. Nella raccolta Ode alle mani (1966) racconta di non sentire più l’affetto di un tempo per il proprio corpo, e il suo sguardo obiettivo segna una chiara linea di confine tra le precedenti poesie e quelle dell’ultimo volume Ancora un solo ricordo (1967). La poesia della sua vita minacciata, del grande amore, dell’incompiuto (…) diventa la bella lode di un’esistenza cosciente, che ha il suo inizio e la sua ineluttabile fine. La lirica d’amore, che sempre più spesso s’intreccia con la riflessione filosofica, ogni istante afferma ‘è ciò che è’. Le cose e gli stati emotivi sono così intensi, che diventano quasi fatti concreti. Ci sono anche le parole che passano, sottoposte come tutto, come la memoria, come i versi, al “processo di appannamento”. È una poesia che non teme le parole elevate, i concetti astratti quali: eternità, infinito, solitudine. A queste parole la poetessa è riuscita a restituire freschezza e a dare un nuovo contenuto. Le addomestica, toglie loro il carattere solenne, conferisce ai concetti astratti un carattere testuale. (…) Sembrerebbe che in un linguaggio che tende a tal punto alla concretezza, non possa esserci disaccordo tra le manifestazioni del mondo e le loro definizioni. Un simile atteggiamento preromantico deriverebbe dalla convinzione, che un termine corrisponda a una cosa, che la lingua sia il materiale da cui l’artigiano ricava un oggetto, come il poeta plasma il verso. Paradossale è il fatto che in questa lirica possiamo leggere che non c’è accordo tra una cosa e il suo nome. Questa sfiducia lascia poca speranza, annienta la lingua. Forse è per questo che la poetessa cerca rifugio nella testualità, vedendo al tempo stesso la differenza tra denominato e soggetto (…) (Halina vuole) vedere, non soggiacendo ad alcuna illusione, senza mistificazioni vuole conoscere il mondo con l’intelletto e con tutti i sensi, sperimentare l’amore, l’erotismo, lo sgomento e la solitudine. Registrare se stessa. Lasciare la propria impronta in ciò che irrevocabilmente trascorre”
Due poeti polacchi, grandi amici della poetessa, scrivono di lei cosi in Ricordo di Halina Poświatowska (da Io sono di piume e di carne): Tadeusz Nowack (1930-1991) conobbe la poetessa dopo il suo ritorno dall’America e la ricorda “alta, esile e molto bella. Una figura in parte primaverile, in parte autunnale (…) La sua poesia era eccitata, rivestita di qualcosa di carnale e, al tempo stesso, straordinariamente labile. Era una poesia autentica, insolita e bella. Molto femminile… luminosa, chiara, eravamo tutti stupiti dei suoi versi. Non potevamo credere che ci fosse qualcuno che nell’arco di qualche mese, forse di un anno, potesse rivivere – nelle parole, nelle metafore, nelle bellissime immagini – tutta la sua esistenza”. E Stanisław Grochowiak (1934-1976) dedica all’amica questi versi, sorpreso da come la poetessa amasse e stimasse la vita. “Non era bella – per esserlo era troppo Bella / Non era tenera – per esserlo era troppo tenera…”
Le opere, di Halina Poświatowska sono raccolte in quattro volumi, Dzieła (opere) ed. Wydanictwo Literackie, Cracovia 1997, di cui i primi due volumi – diverse centinaia di pagine – sono poesie, gli ultimi due sono rispettivamente uno di prosa e l’altro una raccolta di lettere, vengono ristampate frequentemente, e la sua popolarità come poetessa è sempre molto viva, in Polonia e nel mondo. Halina Poswiatowska è stata influenzata da moltissimi poeti, tra i quali Ezra Pound, Lawrence Ferlinghetti, F. Garcia Lorca, J. Prevert , dai poeti sloveni Kajetan Kovic, J.udovic, Sasa Vegri, Dane Zajc, dalla filosofia aristotelica. La sua lirica traeva ispirazione da tutte le cose della vita quotidiana, dalle api, dai gatti, dal colore rosso, dalla trama della sua pelliccia, dalle collezioni antiche e preziose del Metropolitan Museum of Art, dalla cultura cittadina americana, in particolare dalla gente di New York City, ad Harlem. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue (inglese, francese, tedesco, portoghese) così come la sua autobiografia.
Lascio per ultimo lo splendido Racconto per un amico tradotto in italiano dal polacco, da Vera Verdiani, (Neri Pozza Editore, Vicenza 2001, 2006): “Quest’opera fu pubblicata pochi mesi prima della morte della poetessa. È un’opera autobiografica in cui emerge l’indissolubile legame tra scrittura ve vita che caratterizza, in un modo assolutamente particolare, lo stile di Halina Poświatowska. La poetessa polacca narra della sua esistenza ad un amico cieco, presenza costante, protettrice e ammonitrice, nei brevi anni della sua vita adulta. Descrive la sua infanzia, segnata dall’orrore della guerra, la scuola, gli amici, i primi amori, il tempo trascorso nei sanatori a spiare la sofferenza altrui e a cercare di dominare la propria; l’artista conosciuto e poi sposato e infine scomparso dopo soli due anni, il soggiorno americano nella vana speranza di una guarigione e, infine, il suo ritorno in Polonia, dettato da inquietudine, nostalgia, disillusione. Una vita segnata da un’unica, costante, ineliminabile condizione: quella in cui ogni respiro è una preziosa stupenda conquista, e ogni palpito del cuore la minaccia della fine o un altro istante strappato alla morte.
Ancora una volta il mio unico amore ha vinto: sono viva, posso guardare gli alberi piegati dal vento; i miei occhi colgono lo scintillio lontano del faro. Fuori di me sento il rombo dell’acqua schiumosa; dentro al petto sento pulsare, delicatissimo, il più sensibile tra gli strumenti che misurano il tempo: il cuore. È ancora debole, ma batte regolare e pompa, impavido, il sangue caldo. Ascolta amico mio: queste pagine non sono altro che il suo ritmo. Halina Poswiatowska, (da: Racconto per un amico)
Rosalba De Cesare©
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