A una poesia non ancora nata
Davanti a un tè ci domandiamo perché scriviamo poesie.
Le leggono dieci persone, in ogni caso.
A tre non piacciono
per partito preso.
Tre provano un vago struggimento
ma devono pensare ai rubinetti che perdono
e al traffico cittadino.
A due piacciono
e non avrebbero problemi a dirtelo,
ma non sanno come.
Un’altra è tutta presa a preparare domande
sulle facili ironie
e sulla politica dell’identità.
La decima si chiede
se porti le lenti a contatto.E noi
corrotti come chiunque altro
da un mondo assuefatto
ai carboidrati
e alle parole,brancoliamo ancora
fra tramonti, metrica e
schegge di speranzaper un istante
immuni
dal terribile contagio
dell’abitudine.For a Poem, Still Unborn
Over tea we wonder why we write poetry.
Ten people read it, anyway.
Three are committed in advance
to disliking it.
Three feel a vague pang
but have leaking taps and traffic jams
to think about.
Two like it
and wouldn’t mind telling you so,
but don’t know how.
Another is busy preparing questions
about pat ironies
and identity politics.
The tenth is wondering
whether you wear contact lenses.And we,
as soiled as anyone else
in a world addicted
to carbohydrates
and words,still groping
among sunsets and line lengths and
slivers of hopefor a moment
unstained
by the wild contagion
of habit.
Tratta da: L’India dell’anima. Antologia di poesia femminile indiana contemporanea in lingua inglese, a cura di Andrea Sirotti, Casa Editrice Le Lettere, Firenze 2000, pp. 222-225
Autrice di questa bella poesia, ascrivibile al genere della meta-poesia, al quale il presente blog ha dedicato sempre una grande attenzione, è una poetessa indiana nata nel 1973 a Bombay, dove frequentò la “J. B. Petit High School for Girls”, nella quale, secondo quanto racconta l’autrice, l’espressione artistica era considerata più importante del rendimento scolastico. La stessa Subramaniam ha dichiarato: «Lo sapevo anche da bambina che volevo stare con le parole, ascoltarle, pronunciarle, giocarci, inserirle in schemi». Le sue prime influenze poetiche includevano scrittori appartenenti a diversi paesi e tradizioni, come Basho, Pablo Neruda, Rainer Maria Rilke, l’anglo-americana Denise Levertov e il poeta indiano anglofono Arun Kolatkar. Dopo la laurea triennale presso il St. Xavier’s College in Letteratura inglese, ha fatto seguito un master all’Università di Bombay. Dopo la laurea, è diventata uno dei membri più attivi del “Poetry Circle” di Bombay. Nel 2001 ha esordito con la raccolta On Cleaning Bookshelves a cui ha fatto seguito quattro anni dopo Where I Live (nel 2009 la Bloodaxe Books ne ha pubblicato in Inghilterra la versione ampliata Where I Live: New & Selected Poems), e nel 2014 ha dato alle stampe When God Is a Traveller, raccolta che ha ottenuto importanti riconoscimenti (segnalazione come “libro della stagione” da parte della “Poetry Book Society”, partecipazione alla finale dell’edizione del “T.S. Eliot Prize” del 2015 e vittoria del premio della Sahitya Akademi nel 2020, nonché il premio Piero Bigongiari in Italia). Oltre alla poesia, è autrice di saggi sulla cultura indiana, come ad esempio il The Book of Buddha, (Penguin, 2005); Sadhguru: More Than a Life (Penguin, 2010), una biografia del maestro di yoga e leader spirituale indiano Jaggi Vasudev, a cui ha fatto seguito il saggio The Source of Yoga (Harper Element, 2017). Ha scritto su riviste come il “The Times of India”, “The Hindu”, “The Indian Express”, dal 1989 e, successivamente, sulle colonne dei quotidiani “Time Out Mumbai”, “The Indian Express”, e “New Woman” in qualità di critica di arte e di danza (lei stessa è anche danzatrice). Dirige a Bombay il progetto di interazione tra le arti “Chauraha” presso il Centro Nazionale per le Arti Performative e ha tradotto in inglese alcuni testi teatrali dall’hindi. Nel 2018 è uscito il volume A una poesia non ancora nata pubblicato da Interno poesia (Latiano – BR), una antologia di suoi testi tradotti in italiano a cura di Andrea Sirotti; i dei temi delle sue lirichem secondo quanto scrive il curatore, spaziano «dalla relazione col divino, ai rapporti amorosi, alla vita urbana, alla questione dell’identità, alla difficoltà di essere donna in una società come quella indiana». Al centro della poetica dell’autrice c’è il mondo contemporaneo, la sua sfuggente rappresentazione, la questione dell’identità connessa con una visione globale (a cui è legata per necessità e virtù anche la scelta di scrivere in inglese) che rende i fenomeni della “babele metropolitana”, ricompresi in una sincronia totale senza forma né confini, un groviglio di enigmi da decifrare («un giorno troverò un significato // nella sudaticcia congiunzione / di corpi rancidi e valigette. / Nel geroglifico / che la bava del tramonto disegna sui lampioni» scriveva la poetessa in Enigmi cittadini). Questa visione sfaccettata e molteplice della realtà è la trama della sua stessa scrittura: «il suo approccio alla scrittura poetica è molteplice e frammentario. Svariate poesie esprimono lo struggimento per una casa, santuario, habitat, località. comunità, pur nella consapevolezza che per l’appartenenza non possano esserci facili ricette» scrive Andrea Sirotti nell’introduzione alla citata antologia L’india dell’anima. Il componimento in questione è una riflessione impregnata di caustica ironia sullo scrivere poesia nell’epoca della globalizzazione, sulla funzione e sull’essenza della poesia stessa nel mondo contemporaneo, analoga a quella, forse ancora più caustica, di José Emilio Pacheco oppure a quella, più recente di Piera Oppezzo. Cosa implica in sé l’atto di scrivere una poesia? Ecco una domanda a cui solo un poeta può dare la risposta.
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