Mio primo amore, pallido ragazzo
Mio primo amore, pallido ragazzo
una mattina calda: ancora ascolto
il battito del cuore nella gola,
ancora il male sento, il male-bene,
ancora nelle vene
passa il turbato ansare.
Dolore di uno sguardo
fanciullesco, piacere
che strazia di uno sguardo
indifferente sopra noi posato!
E fu breve la cosa. E presto uscita
sui verdi prati, avidamente il male-
bene pensavo, e quanto
l’avrei portato nel mio triste cuore.1930-32
Di te mi è dolce la memoria
Di te mi è dolce la memoria. Assai
mi guardasti e non ebbe
la mano un gesto. Ferma la carezza
non data resta
nel sangue, che si muove
lento al tuo nome come s’alza il nero
mare all’immoto
ritornare degli astri, e non è gioia
a questo triste ricordare uguale.1940-1952
tratte da: La luna che trascorre, Empiria, Roma 1998
Quelle citate sono due liriche di una straordinaria scrittrice, nota soprattutto per le sue prose (il suo romanzo Poveri e semplici si aggiudicò il premio Strega nel 1967 mentre la raccolta di racconti e reportage Il mare non bagna Napoli vinse il premio Viareggio nel 1953), la quale negli ultimi anni della sua vita si decise a dare alle stampe le poesie che per tutta la vita aveva continuato a scrivere. Così, nel 1996 uscì Il mio paese è la notte e, due anni dopo, nell’anno della scomparsa, la seconda e ultima raccolta La luna che trascorre, entrambe uscite con la piccola casa editrice romana Empiria. Nella premessa alla prima silloge l’autrice scriveva «Questa raccolta di piccoli scritti in forma di poesia è divisa in dodici settori. Ma composti non è la parola adatta: queste cose, tranne alcune eccezioni, non furono mai composte, obbedirono a un impulso espressivo o emotivo, comune a molte persone, anche se non hanno frequentato scuole, e hanno come guida solo la lettura di qualche antologia». A questa dichiarazione aggiunse poi la seguente nota: «”in forma di poesia: per dire che esiste la tentazione di un “ritmo”. Sarebbe più giusto dire: “con aspetto di poesie”. Perché dire poesie è indicare espressioni precise e compiute, e qui, di preciso e compiuto, non c’è quasi nulla». Eppure Biancamaria Frabotta, nel lontano 1976, la incluse nella sua antologia Donne in poesia. In quell’occasione la curatrice dell’antologia, nel riproporre alcune liriche uscite due anni prima su «Nuovi Argomenti», scriveva: «La sua prosa, insieme lirica e autobiografica, non esclude ma anzi valorizza la sua vocazione poetica che può essere considerata marginale solo nel senso che non ha mai dato luogo a una vera e propria raccolta». In realtà la sua vocazione poetica marginale lo fu solo perché l’autrice la considerò tale. La Ortese continuò a scrivere poesia, così come aveva fatto per tutta la vita, ma sempre entro una dimensione privata. Così come il primo impulso a scriverle risiedeva in un tragico evento privato, quale la tragica scomparsa del fratello Manuele, morto in Martinica nel 1933 (la futura poetessa aveva diciannove anni) in un incidente sulla nave dove si era imbarcato. Pochi mesi dopo il tragico evento, alcune di queste poesie furono pubblicate su «L’Italia letteraria» (furono il suo debutto assoluto). Anche negli anni seguenti, quando le sue prose venivano pubblicate, raccogliendo numerosi consensi, non smise di scrivere poesie dedicate al fratello morto in Martinica. A causa di alcune circostanze (il lavoro del padre) crebbe e studiò in diverse città e paesi (nasce a Roma nel 1913, poi nel 1919 si trasferisce a Potenza, dove abita fino al 1924, dal 1925 al 1928 la famiglia vive in Libia; tornati in Italia, gli Ortese si stabiliscono a Napoli, dove vivono per dieci anni e dove Anna Maria torna nel 1945), la sua fu una formazione da autodidatta, frutto di appassionate letture; ma a giudicare dalle poesie, suo punto di riferimento fu Leopardi. «un profondo, irrinunciabile, fatale (fetale) leopardismo impregna e impasta la poiesis di Ortese. Non c’è scrittore del novecento, tranne forse Ungaretti, che non sia stato un così appassionato e assiduo lettore di Giacomo Leopardi» scrive Luigi Fontanelle nel Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020. La cosa è confermata da Giacinto Spagnoletti («la sua intonazione più costante è una forma di accostamento ideale alla straordinaria solitudine, rimasta peraltro unica nella nostra storia letteraria, di Leopardi» scrive il critico nell’introduzione a La luna che trascorre), il quale sottolinea anche una più generale apertura al romanticismo («Non si tratta di un romanticismo “recuperato, ma mi si passi il termine, istintivo» scrive Spagnoletti), messo al servizio di una dimensione autobiografica privata, in cui la sua poeisis rimase relegata per volere dell’autrice stessa («la poesia diventa naturaliter un’auto-auscultazione, cioè una specie di autoanalisi nella quale far rifluire speranze, paure, desideri, fantasie, emozioni» scrive Fontanelle nel suo menzionato articolo). Senza dilungarci oltre in approfondite analisi, di fronte ad alcuni componimenti della Ortese, come quelli appena citati, non si può fare altro che ammirarne l’elegante e sobria bellezza, come, che so, di fronte ad alcune sonate di Franz Schubert. Ma se vogliamo, possiamo notare, in Di te mi è dolce la memoria la sapiente costruzione della sospensione attraverso l’enjabement (ovvero la spezzatura di una unità sintattica in più versi) che crea una pausa (“la carezza / non data” oppure “il nero / mare”) nella quale si può quasi avvertire il singhiozzo del pianto.
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