È ancora capace di infanzia

È ancora capace di infanzia
il tronco ficcato sul cuore
della città. Una luce d’alba gli esce
dai rami, ai pedi gli si affolla
tremando un subbuglio di verde.
A un vento improvviso lo zampillo
della fontana gira verso il tronco
assentendo approvando: – D’accordo,
sussurra, la vita
può essere ancora bella

Antenna televisiva

Tutta la sera fino a notte ascolta
tesa e fremente l’antenna d’argento
rastrellando sul cielo sinfonie
e canzoni di ballo e voci umane.
Ma l’ospite d’onore è questa luna
chiara chiara che sale lungo il tronco
di limpido metallo improvvisando
un freddo albero in fiore

Genova P.P.

– Quanto tempo – dirai. E ci sarà
odore di treni, di fritto
e una piuma di vento marino
già all’Uscita. Sugli agri giardinetti
della Stazione tornerà la luna.
– Come va? – chiederai. Da un indomato
vecchio spiccio poema d’amore
sorriderti sarà meraviglioso
– Bene, quando ti vedo.

Voce al di fuori degli schemi generazionali e delle correnti letterarie, Daria Menicanti,  di madre fiumana e di padre livornese, Daria Menicanti è nata per caso a Piacenza il 6 aprile del 1914, ma è vissuta, salvo brevi periodi, a Livorno, Crema e Pavia, prevalentemente a Milano, dove ha compiuto gli studi (fu stata compagna di studi di Antonia Pozzi all’università di Milano) e dove si è laureata in estetica con Antonio Banfi e dopo un lungo apprendistato come traduttrice dall’inglese, ha pubblicato Città come, la sua prima raccolta, nel 1964, per i tipi della Mondadori. Quella della Menicanti è stata una presenza discreta e dislocata in una zona marginale della poesia italiana. Non a caso Biancamaria Frabotta, invece, presentandola sulla sua antologia Donne in poesia scriveva «Nel malinconico pudore di Daria Menicanti che si intuisce e si teme femminile, non c’è né la malizia né la passione che si solito fondano questi sospetti. C’è un’“Anonimia in fuga”, dove ciò che conta è l’anonimato, da conservare e difendere gelosamente contro la stessa drammaticità della fuga. C’è la sottile e ironica intimità delle piccole compere: il “pigiama azzurro sereno” che si staglia netto su un orizzonte che non conosce l’asservimento al matrimonio: “la vita depredata oncia per oncia dall’altro”. Una poesia questa che si distingue per nitidezza e pulizia nel minaccioso marasma dell’autobiografia.»

La critica notò subito la sua abilità nel dissimulare nei suoi brevi componimenti dal tono apparentemente dimesso una conoscenza profonda della poesia basata su una solida formazione umanistica, che andava dai lirici greci fino ai poeti contemporanei. Sergio Solmi, nel presentare Poesie per un passante, la sua terza raccolta che uscì nel 1978, scrisse che la poesia della Menicanti appartiene al filone «della poesia d’ogni tempo, dai primi lirici greci fino a Leopardi, nei suoi poli fondamentali di amore-morte».

Giovanni Raboni, in Poesia degli anni sessanta, tentò di tracciare alcune filiazioni con la poesia italiana novecentesca: «Sono particolarmente affezionato, fra l’altro, per ragioni quasi autobiografiche, alle ipotesi metriche e sintattiche che la Menicanti predilige e i cui modelli è andata a ritagliarsi in una zona eccentrica e “minore” del novecento poetico italiano: la zona dove la nonchalance sabiana, espressa volta a volta in un tonalismo meticolosamente sprezzante o in scardinamenti millimetrici – quasi inavvertibili, ma tanto più brucianti a saperli avvertire – della regola in questione, trapassa nella dolcezza sistematicamente avvelenata di Penna».

Notevole, nelle sue brevi liriche di carattere epigrammatico, la capacità di cogliere, attraverso una sottile e ironica compassione, la dimensione del dolore che accomuna ogni vivente, uomo, pianta o animale. La sua poesia è una lucida riflessione sul mondo degli ultimi e sulla sofferenza, con un certo ironico distacco che smorza i toni più drammatici. Il carattere filosofico delle sue brevi liriche consiste proprio in questo sguardo distaccato con cui la poetessa osserva il mondo che la circonda (lei stessa definiva la sua poesia come “l’irrazionale spiegato razionalmente”).  La sua figura, negli ultimi decenni sostanzialmente dimenticata, attende da tempo una giusta ricollocazione nel panorama della poesia italiana del ‘900. Ma la cosa forse più importante è che la sua poesia desta ancora oggi, a distanza di diversi decenni, stupore e ammirazione anche in un lettore distratto per la sua capacità di scolpire in poche parole un ricco mondo poetico.