La poesia, la pietosa
Che fa la poesia, la pietosa,
La lenta, che rinasce inaspettata,
Torso puro di ieri, quando i rauchi
Rumori riempiono l’aria, e non c’è un posto
Nel suo impeccabile regno che non colmi
L’agonia?
Ah, chi si abbandona docile
Ai lamenti e agli alleluia
Che lei proclama, sola, come potrà
Evitare che il suo alito lo scuota?
(come fa l’aria con la punta degli alberi)?
La poesia è femminile, ma
Il suo corpo non è di fidanzata, è di madre.
Non le si vedono le labbra, ma il grembo,
ma il suo braccio nudo e ampio. Lei ha cura
Delle barbare stelle nella notte,
Lei procrea, addolorata, lei provvede
A rifornire le bocche, e nel suo letto
più di amarezze che piacere, il sonno
non si separa dalla atroce veglia.
Lei sa solo raccontare, sa solo
Attaccarsi alle cose goffamente
Perché restino al suo fianco
– Figli che crescono e che una sera
Escono cantando, ululando escono, escono
Verso le imperiose servitù -,
E dietro loro va, fedele, la poesia,
La pietosa, la lenta, ricreando
I loro tratti, la loro maniera di essere veri
In quel mattino di quel giorno.La poesía, la piadosa
¿Qué hace la poesía, la piadosa,
La lenta, renaciendo inesperada,
Torso puro de ayer, cuando los broncos
Ruidos llenan el aire, y no hay sitio
En su impecable reino que no colme
La agonía?
Ah, el que se entrega dócil
A los lamentos o a las aleluyas
Que ella proclama, sola, ¿cómo puede
Evitar que su aliento lo estremezca
(así el aire a las puntas de los árboles)?
La poesía es femenina, pero
Su cuerpo no es de novia, que es de madre.
No se le ven los labios, sí el regazo,
Sí el brazo tosco y ancho. Ella cuida en
La noche de las bárbaras estrellas,
Ella engendra, doliente, ella procura
Abastecer las bocas, y en su lecho,
Más de amargura que placer, el sueño
No se separa de la atroz vigilia.
Ella no sabe contar, sino
Apegarse a las cosas torpemente
Para que se le queden a su lado
– Hijos que van creciendo y que una noche
Salen cantando, aullando salen, salen
Hacia las imperiosas servidumbres-.
Ya tras ellos va, fiel, la poesía,
La piadosa, la lenta, recreando
Sus rasgos, su manera de ser ciertos
En aquella mañana de aquel día.
Da: Giovani poeti dell’America Centrale, del Messico e delle Antille, a cura di Hugo Garcia Robles e Umberto Bonetti, Einaudi, Torino 1977, pp. 18-19
Nato all’Havana nel 1930, Roberto Fernández Retamar è stato uno degli intellettuali più autorevoli a Cuba dopo il trionfo della rivoluzione castrista (1959). Nato all’Havana nel 1930, nel 1954 si era laureato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università de l’Havana, dove insegnò dall’anno seguente. Proprio in questi anni aveva cominciato a pubblicare alcune poesie sulla rivista di José Lezama Lima «Origenes». Nel 1951 aveva pubblicato Patrias, la sua prima silloge che ricevette il Premio nazionale di poesia. Tra il 1955 e il 1956 proseguì i suoi studi a Londra e Parigi e successivamente, tra il 1957 e il 1958 insegnò all’università di Yale. L’adesione agli ideali della rivoluzione, consapevole e meditata, lo rese una delle figure più autorevoli della politica culturale del regime castrista. Nel 1960 fu attaché culturale di Cuba in Francia e dal 1961 al 1964 fu direttore dell’Unione degli scrittori e degli artisti cubani. Dal 1965 diresse la rivista organo della Casa de las Américas, istituzione che diresse tra il 1986 e il 2019. Fondò e diresse il Centro de Estudios Martianos, dedicato alla figura di José Martì. Fu membro corrispondente della Real Academia Española. Fu anche autore di saggi e studi sulla poesia ispanoamericana e sulla figura di José Martì.
Nella sua lunga e copiosa produzione poetica, la dimensione dell’impegno politico ha un peso specifico rilevante ma non schiacciante; la coscienza politica fu bilanciata da quella letteraria, frutto di studi approfonditi e di letture ragionate. La sua non fu una poesia di propaganda in senso stretto né interamente devota alla causa rivoluzionaria (anche se dichiaratamente schierata con quest’ultima) ma si distingue in modo piuttosto netto rispetto alla poetica del gruppo di «Origenes», orientato verso la poesia pura all’interno di una concezione dell’arte avulsa dalla politica. Al contrario, Retamar si ricollega alla poesia di Nicolás Guillén, il poeta che per primo aveva esaltato l’identità “afrocubana” e fondatore, nel mondo ispanofono, assieme al dominicano Manuel Cabral, di quel filone della poesia legato alla “negritudine”. Retamar si rifà alla figura di Guillén, nato nel 1902, ma con una maggiore consapevolezza letteraria, ricollegandosi all’anti-poesia del cileno Nicanor Parra e alla poesia “dialogante” del poeta-sacerdote nicaraguense Ernesto Cardenal. Non a caso Silvio Bertocci, il curatore dell’antologia L’isola recuperata (Guanda, Parma 1970), nell’introduzione scriveva: «Retamar ha scelto il colloquio, la conversazione come modo e forma di espressione, come modello di poesia, come per coinvolgere il lettore e la sua coscienza, impegnandolo alla riflessione anziché offrendogli un godimento estetico; una poesia fatta di piccole cose, impastate con l’esperienza di ogni giorno, a volte umoristicamente dissacratoria, altre drammaticamente tesa» – considerazione che risulta perfettamente calzante in relazione alla menzionata lirica.
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