Mentre cerco di rimettere un po’ in ordine i file e i testi degli ultimi 30 anni, la cosa che più mi meraviglia è la mia fedeltà, durante tutto questo tempo, a questa singolare forma di espressione artistica. L’avvento dell’era digitale ha relegato questa forma di espressione artistica artigianale e desueta in un angolo delle soffitte dove arrugginiscono vecchie macchine da cucine, qualche macchina da scrivere, vecchie stufe di ghisa, insomma tutti quegli oggetti che non hanno ancora perso il loro modo elegante e decoroso di stare al mondo e che, per questo motivo, fanno bella mostra di sé sulle bancarelle dei mercatini delle pulci tutte le domeniche.

Nell’incessante flusso di segni nel quale viviamo immersi notte e giorno si rischia però di perdere qualcosa di essenziale: il senso delle parole. Siamo incalzati da oggetti che hanno perso la loro oggettività. Nell’incessante flusso delle informazioni infatti le parole si moltiplicano da sole grazie ai dispositivi digitali. Arrivare alla poesia significa compiere un percorso, un cammino in direzione opposta, verso l’essenza delle cose, per recuperare l’integrità della parola, la pienezza e la profondità del suo significato.