Da un esilio
trasparente

L’ambizione del mare
Ciò che lo specchio non osa dire

Il sogno nasce
là dove il cuore non sa più niente
del rosso delle cave d’argilla
né della conoscenza visibile dei giorni,
là dove la sabbia diventa il confidente dell’oblio,
là dove il mare vende i suoi segreti dalle dita di sale.

Il sogno nasce
dalla profondità solare prodiga
di un’altra stagione,
da un altro desiderio che nuota fra due acque,
da un desiderio inventato da leggi anonime.

D’un exil
trasparent

L’ambition de la mer
ce que la glace n’ose dire.

La rêve naît
là où le cœur ne sait plus rien
du rouge des glaisières
ni de la connaisance visible des jours,
là où le sable devient le confident de l’oubli,
là où la mer vend ses secrets aux doigts de sel.

La rêve naît
de la profondeur solaire prodigue
d’une autre saison,
d’un autre désir nageant entre deux eaux,
d’un désir inventé par des lois anonymes.

tratta da: Lontano da ogni riva, a cura di Annalisa Comes, edizioni Ensemble, Roma 2018, pp. 121-122.

 

La figura di Jean-Claude Izzo è nota in Italia soprattutto per la trilogia noir (Casino totale, ChourmoSolea) incentrata sul personaggio dell’ispettore Fabio Montale e per il romanzo Marinai perduti. L’ambientazione marsigliese di questi romanzi ha contribuito a lanciare un genere, quello del “noir mediterraneo”, categoria nella quale si è soliti annoverare il personaggio di Montalbano di Andrea Camilleri, il ciclo legato a Pepe Carvalho del catalano Manuel Vázquez Montalbán e Kostas Kharitos, l’ispettore nato dalla penna del greco Petros Markaris. Ma un’altra cosa unisce lo scrittore marsigliese con il suo collega spagnolo: gli esordi poetici e una corposa bibliografia di raccolte di poesia. In entrambi i casi, questo aspetto della loro creazione letteraria viene solitamente ignorato. Nel caso dello scrittore francese, l’approdo alla prosa è avvenuto quando aveva trentotto anni, con la pubblicazione nel 1993 di un racconto che sarà la matrice di Casino totale, il primo romanzo della trilogia che uscì nel 1995. Invece Poèmes à haute voix (“poesia ad alta voce”), la sua silloge d’esordio, risale al 1970. Tra questa data e l’uscita del primo romanzo vi sono venticinque anni in cui Jean-Claude Izzo pubblicò solo altre cinque raccolte di poesia, a cui si aggiunsero altre tre prima della sua scomparsa, nel 2000, tra cui Loin de tous rivages, che uscì nel 1997 e che nel 2018 è uscita in italiano (sarebbe la raccolta da cui è tratta la poesia in questione). Anche sotto questo punto di vista la figura e l’opera del francese è singolare quanto la sua biografia e vale la pena ripercorrerla, seppur brevemente.

Nacque il 20 giugno del 1945 a Marsiglia, nella città che era stata liberata un anno prima, alla fine di agosto, da un esercito composto in larga parte da truppe reclutate nel Maghreb (Algeria e Marocco). Il padre, Gennaro Izzo, di origine italiana, era nato a Castel San Giorgio (SA) ed era arrivato nel 1938 in una città dove trovò una cospicua colonia di connazionali (si considera che circa il 35% degli attuali abitanti siano di origine italiana). La madre, di origini spagnole, era nata nel famigerato quartiere “du panier“, il più antico della città sorto a ridosso del porto vecchio, che già a partire dalla fine dell’800 era composto prevalentemente da immigrati italiani, corsi e successivamente maghrebini che ne avevano fatto, tra gli anni ’30 e i ’70, uno dei centri del traffico internazionale di stupefacenti gestito principalmente da famiglie di origine corsa in associazione con mafia e camorra italiane. Durante la Seconda guerra mondiale il quartiere venne sistematicamente distrutto dagli occupanti nazisti che lo ritenevano un rifugio di partigiani. Nel 1943 anche i genitori dello scrittore vennero evacuati dal loro alloggio nello storico quartiere poco prima che venisse minato. Grazie a documenti falsi evitarono la deportazione, a cui erano destinati tutti gli abitanti del rione. Jean-Claude nasce nel quartiere Millière, dove la famiglia aveva trovato rifugio presso una cugina. L’infanzia dello scrittore trascorse serena in un ambiente popolare. Il padre faceva il barista e rincasava dal lavoro a notte fonda e parlava italiano in casa. Il ragazzo non volle apprendere la lingua del padre, ma si considerò tutta la vita un rital, parola che indica un figlio di immigrati (la condizione di esule, a cui fa riferimento anche la poesia in questione, divenne un elemento fondamentale della sua creazione letteraria). I genitori, malgrado i buoni voti, lo mandarono a un liceo tecnico, nel quale ottenne la qualifica di tornitore-fresatore. Ciò non gli impedì di coltivare l’interesse per la letteratura, la filosofia e la poesia. Quando, nel 1962 gli accordi di Évian chiusero il conflitto franco-algerino, affluirono in città migliaia di profughi dall’altra parte del mediterraneo e crebbero di conseguenza anche le tensioni tra le varie anime della città. Sullo sfondo di questa situazione di crescente violenza in città, matura la decisione del giovane di aderire a Pax Christi, un movimento cattolico di ispirazione socialista che predicava la giustizia sociale e si opponeva a ogni forma di razzismo. Nel 1964 non poté sottrarsi al servizio militare, che fu un’esperienza piuttosto traumatica. Anche a causa delle sue idee pacifiste, venne inviato a Gibuti in un plotone di punizione. Qui, testimone di abusi e di violenze nei confronti delle popolazioni locali, le sue convinzioni pacifiste si rafforzarono. Nel 1966 finì il servizio militare e poté tornare a Marsiglia. In questi anni maturò la sua adesione al Partito socialista unito (una formazione politica che si collocava alla sinistra del Partito Socialista, in cui confluì nel 1970). Fu in questi anni, nei quali si manteneva grazie a un impiego da libraio,  che cominciò a scrivere le poesie che sarebbero confluite nella pubblicazione del 1970. Nel 1969 si sposò con Marie-Hélène, una ragazza di origini italiane che si era appena diplomata con cui Jean-Claude da anni condivideva gli ideali politici. In quello stesso anno cominciò a collaborare a «La Marseillaise», un quotidiano locale legato al Partito comunista francese, a cui lo scrittore francese nel frattempo si era iscritto. Inizialmente si trattava di una collaborazione saltuaria e non retribuita (solo nel 1972 VI venne regolarmente assunto). In quell’anno pubblica Terres de feu (“terre di fuoco” pubblicato da P.J. Oswald a Parigi), la sua seconda silloge di poesia a cui, due anni dopo, seguì État de veille (“stato di veglia”) con la stessa casa editrice. Nel 1978 prese le distanze dal Partito comunista e, l’anno successivo, si dimise dalla redazione de «La Marseillaise» e si separò dalla moglie. Nel 1980 si trasferì a Parigi, dove cominciò a lavorare per il periodico «La vie mutualiste» che successivamente cambierà nome e si chiamerà «Viva». Parallelamente al suo lavoro di giornalista, Izzo scriveva sceneggiature (aveva già scritto alcuni testi teatrali a Marsiglia negli anni ’70) per documentari culturali. Dalla metà degli anni ’80 abbandonò il lavoro di giornalista, dedicandosi all’organizzazione di festival letterari ed eventi culturali. Fu grazie a questi contatti di lavoro che il direttore di «Gulliver» gli commissionò un racconto per chiudere il numero della rivista. Il racconto Marseille, pour finir fu il seme dal quale nacque quella trilogia noir che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo.

Non è difficile scorgere parallelismi e punti in comune tra la sua prosa e la sua poesia (tra l’altro due anni dopo la pubblicazione del primo capitolo della trilogia, che riscosse un successo immediato, uscì la raccolta di poesia Loin de tous rivages, a testimoniare il fatto che l’autore non abbandonò mai la scrittura in versi). Lo sguardo del poeta è lo stesso del romanziere quando descrive la sua città natale, che nel corso di quegli anni aveva subito profonde trasformazioni politiche e sociali. Nei quartieri operai, un tempo bastioni del Partito Comunista, stava conquistando crescenti consensi il Front National e le vecchie famiglie che un tempo controllavano i traffici illeciti venivano sostituite da nuovi e più dinamici gruppi sociali. La dimensione politica e l’espressione poetica per Jean-Claude sono stati sempre due facce della stessa medaglia. La stessa passione viscerale del militante era quella che sottendeva alla sua produzione in versi. Sostanzialmente uguale, nella prosa e nella poesia, quella nostalgia per una felicità impossibile. Ha scritto la sua amica Marguerite Tiberti nel numero della rivista «La pensée de midi» dedicato allo scrittore francese nello stesso anno della sua scomparsa: «Jean-Claude affermava di non sapere perché scrivere poesia gli era necessario. Che gli procurava più piacere scrivere storie. Scrivere romanzi. Ma che era nella poesia che avvertiva la gioia delle parole. Una gioia associata al rischio di confrontarsi con il più vivo della lingua, con la parola che non può raggiungere l’altra. Diceva che la poesia gli era indispensabile per rimanere fedele, il più possibile fedele, all’innocenza».

In particolare, le poesie di Lontano da ogni riva, corrispondono a una fase particolare nella biografia intellettuale dello scrittore francese. In occasione della stesura del suo primo romanzo Izzo aveva deciso di tornare per un periodo nella sua città natale per poter metterne meglio a fuoco i dettagli e le ambientazioni. Grazie al travolgente successo del primo romanzo, l’editore gli chiese di scrivere un seguito, che uscì l’anno dopo. Ma il ritorno nella sua città, a cui evidentemente ormai non apparteneva più, dovette acuire un senso di spaesamento a cui è legato anche il titolo della raccolta di poesia del 1997, nel quale l’esilio appare come una condizione esistenziale, una condanna e al tempo stesso un’opportunità. La poesia che apre la silloge, si intitola, non a caso Braci della memoria. Lontano da ogni riva segna quindi il congedo da un passato e al tempo stesso l’approdo verso una condizione di poeta apolide a cui appartiene solo il territorio della parola e della memoria.